Un paesaggio quasi surreale si è presentato agli occhi dei frequentatori della montagna durante la stagione invernale 2020-2021: l’inverno vissuto sulle Alpi in piena crisi pandemica. “I cartelli delle piste sono immersi in metri di neve vergine e le loro frecce indicano solo powder [polvere] a perdita d’occhio1 . Infrastrutture ferme e abbandonate, cabinovie, seggiovie e ski-lifts vuoti. Tracce solitarie di frequentatori abituati alla fatica della salita come unici segni di passaggio.Tutto quasi deserto, o almeno lontano dall’immaginario a cui eravamo abituati negli ultimi decenni, da quando anche la montagna è stata travolta in larga misura da trasformazioni del paesaggio per adeguarlo alle numerose necessità di un turismo di massa. Ora tutto sembra tornato ad una presunta normalità. O quasi. E se quell’inverno avesse rappresentato una vera occasione, più che una contingenza negativa e transitoria? Un’occasione per ripensare la montagna e le sue infrastrutture, ferme e abbandonate, ma da molto tempo espressione di un modo di vivere sul pianeta che non ci rappresenta più, modello di un turismo di massa e di un consumo veloce di territori fragili, consapevolmente colpevole. Ad un osservatore attento, ad un frequentatore silenzioso, quell’inverno, lo scorso, ha fatto nascere numerosi interrogativi, ha risvegliato dubbi e ha confermato tendenze già in atto da decenni. Come ogni crisi, anche quest’ultima, non giunge inaspettata, così ci sembra, ma in realtà rappresenta solamente un’accelerazione vertiginosa di qualcosa che non volevamo vedere, perché eravamo troppo distratti.

Impianti della Cialma, Valle Orco, fotografia di Stefano Girodo

Gli impianti abbandonati, le località sciistiche deserte pensate quasi totalmente da chi ha teorizzato, a partire dagli anni ’50 del secolo scorso, il turismo di massa stagionale, le devastanti e miopi trasformazioni in nome di un progresso che avrebbe dovuto investire il mondo intero, ma che ha poi unicamente illuso i suoi abitanti e devastato territori fragili sovvertendo equilibri antichi, oggi ci danno una nuova possibilità. Dobbiamo solo essere in grado di vederla e di coglierla. Come ripensare l’accesso e la fruizione del paesaggio alpino? Che fare con queste infrastrutture inutilizzate? Come ripensare queste unità e le connessioni tra loro in uno spazio unico e di “aria sottile” attorno? Da queste domande e da molte altre potrebbero nascere nuovi temi progettuali, occasioni per progettisti contemporanei, cercando nuove soluzioni a nuovi problemi, e non nuove soluzioni a vecchi interrogativi per questi lasciti che hanno perso la loro primigenia funzione di “garanti del tempo libero”. Che cosa è poi, oggi, un’infrastruttura per il tempo libero?

Tutti elementi di una realtà tanto significativa quanto irrisolta e scomoda. La stagione pandemica sulle Alpi però non è stata l’unica a mostrare l’inadeguatezza di un modello di fruizione ormai tramontato. È stato sicuramente un caso corale, che ha accomunato se non tutto il continente alpino, Stati e icone del turismo invernale sottoposti a restrizioni mai accadute prima a questa scala. Esistono però numerosi esempi di piccole, minute, sporadiche, ma molto significative crisi sul territorio alpino, casi di impianti abbandonati, di località turistiche fantasma, di paesaggi oggi surreali. Località sciistiche a bassa quota ormai calde, dove la neve cade sporadicamente, abbandonate da decenni a causa dei numerosi effetti del cambiamento climatico. (Si è calcolato che ogni aumento di temperature di 1°C in pianura corrisponda ad un aumento di 2°C sulle Alpi)2. E ancora, casi di mala gestione, casi di fallimento, casi di impianti progettati per grandi eventi e poi abbandonati una volta conclusi. Crisi che si sovrappongono alla più recente. Moniti potenti per il futuro del paesaggio alpino.

Aquila, Val Sangone, Giaveno (To), fotografia di Stefano Girodo

Il problema talvolta è anche difficile da vedere, non tutti conoscono luoghi ora remoti e eliminati dalle nostre mappe mentali. Per questo, una ricerca e una mappatura generale che restituiscano il peso del problema in un territorio complesso e sovranazionale come le Alpi sono necessarie, urgenti. Oggi ancora mancano. La realtà del paesaggio alpino è stata molte volte l’ingenua continuazione dei nostri modi di vivere e di costruire che quotidianamente sperimentiamo in un contesto urbano. Accessi facilitati, parcheggi di cemento multipiano, ascensori comodi e impianti di risalita cha ci permettono di esperire la pendenza delle montagne solo nel senso della discesa. Comodità all’ennesima potenza. Una serie di trasformazioni e di distorsioni tutte a buon titolo ascrivibili alla nostra stagione: l’Antropocene. In una visione di trasformazione che sappia cogliere le energie positive dei diversi territori dovremmo guardare al paesaggio alpino, partendo dal patrimonio attuale.

Piangelassa, Valsusa, Gravere (To), fotografia di Stefano Girodo

Lontane da facili moralismi o nostalgie per tempi lontani, le trasformazioni ritratte criticamente dallo sguardo lucido del fotografo italiano Walter Niedermayer “si fondano sulla mutazione che il paesaggio alpino ha subito e continua a subire, trovano la ragion d’essere e la loro identità proprio in questo elemento, nella presenza di qualcuno o qualcosa che ha cambiato (e continua a cambiare) l’elemento naturale, fino a far scomparire – o comunque a modificare – persino la roccia e il ghiaccio”, nell’intendo di comprendere e mostrare “la dialettica tra permanenza e impermanenza, tra ciò che esiste da sempre e ciò che ad esso si aggiunge, modificandolo, con tutte le conseguenze – sociali, storiche, scientifiche, e non solo banalmente cromatiche – che ciò implica”3 .

Federica Doglio

4.2.22

1. M.Manzoni, Is the end of the world as we know it? La follia della normalità, in “Skialper”, n.134, 2021

2. C.Tomaso, Seduced and abandoned: tourism and climate change in the Alps,
https://www.theguardian.com/environment/2019/dec/09/seduced-abandoned-tourism-and-climate-change-the-alps?CMP=share_btn_fb

3. W.Guadagnini, Trasformazioni, in Walter Niedermayer, Transformations, Silvana Editoriale, Milano 2021 p.4

Bibliografia

L.Gibello, Cantieri d’Alta Quota. Breve storia della costruzione dei rifugi sulle Alpi, Lineadaria 2011

S.Girodo, Archeologia sciistica: il monito di una eredità scomoda, in Dislivelli, 30 aprile 2013

http://www.dislivelli.eu/blog/archeologia-sciistica-il-monito-di-uneredita-scomoda.html

– A.Denning, Skiing into Modernity. A Cultural and Environmental History, UCPress 2014

– A.De Rossi, La costruzione delle Alpi. Il Novecento e il modernismo alpino (1917-2017), Donzelli, 2016

– T.Clavarino, Seduced and abandoned: tourism and climate change in the Alps, “The Guardian”, 9 Dec 2019

https://www.theguardian.com/environment/2019/dec/09/seduced-abandoned-tourism-and-climate-change-the-alps?CMP=share_btn_fb

– AAVV, A different winter, “Skialper”, n.134, 2021

Immagine di copertina: Beaulard4, Bardonecchia (To), fotografia di Stefano Girodo.