Con Jean-Louis Cohen scompare una delle figure maggiori della scena architettonica internazionale. Storico, critico, curatore, durante la sua carriera di studioso e di insegnante ha saputo costruire e promuovere una rete, vasta e collegiale, di conoscenza sull’architettura e sulla città. Una rete che, partendo dalla Francia, si è estesa all’Europa, agli Stati Uniti, all’Unione Sovietica, all’Africa settentrionale. Nella densità e originalità di queste ricerche, Cohen ha proposto ipotesi interpretative, spesso in chiave comparativa, con inedite prospettive giocate sulle connessioni tra architettura, società e politica. “Ho cercato di costruire – come diceva – una strada alternativa; non pretendo di aver tracciato un cammino, piuttosto delle piste nel deserto”.

Chi lo ha conosciuto è stato senz’altro colpito da una enorme erudizione, una memoria prodigiosa, una curiosità intellettuale inesauribile. Doti che si accompagnavano ad una grande generosità verso colleghi e studenti, anche nei momenti in cui era assorbito da una mole rilevante di impegni editoriali e di studio. Poliglotta e globetrotter (come amava definirsi), Jean-Louis riusciva sempre a mettere a proprio agio i suoi interlocutori, chiedendo di parlare tranquillamente nella loro lingua…Assistere alle sue lezioni a Parigi o a New York era un’esperienza coinvolgente e stimolante: che trattasse della storia urbana, dell’architettura francese tra Ottocento e Novecento, del costruttivismo sovietico, dell’architettura e della città tra le due guerre, Cohen esortava ad assumere un’attitudine critica, senza timori reverenziali, e autocritica. Un’attitudine che doveva tuttavia fondarsi sul rigore e sulla profondità della ricerca, acquisiti grazie ad un intenso lavoro (anche in archivio), ad un’attenta interpretazione dei testi e alla capacità di istituire collegamenti (ricordo, ad esempio, alcune discussioni con lui sulla lettura linguistica di alcune architetture italiane durante il fascismo, in termini di morfemi e di sintagmi).

Il suo percorso intellettuale è stato segnato dalla adesione giovanile al partito comunista (da cui prenderà poi le distanze) e dalla familiarità con le vicende dell’URSS (il padre era un giornalista, specialista dell’URSS; membro, con la moglie, della resistenza francese). La conoscenza del russo permise a Cohen di avere un contatto diretto con l’Unione Sovietica e di diventarne un profondo conoscitore dell’architettura e della città, in particolare degli anni 20 e 30 del Novecento. Influenzato all’inizio da Manfredo Tafuri e da Hubert Damisch, lavorerà prevalentemente in una prospettiva di comparazione – tra gli USA e l’URSS, la Francia e l’Italia – concentrandosi su figure di spicco (come Le Corbusier e Mies Van der Rohe) e su autori meno conosciuti (come André Lurçat e Gaston Bardet). Quello italiano è stato per Cohen un importante terreno di riflessione: alla fine degli anni ’70, analizza le relazioni tra la Francia e l’Italia, esplorando la “italophilie” di certa parte della cultura architettonica francese dell’epoca e il distacco tra gli intellettuali e gli architetti (La coupure entre architectes et intellectuels, ou les enseignements de l’Italophilie, del 1984, ripubblicato nel 2015). L’architettura e la città italiana sono state in seguito tra i temi portanti della esposizione Année 30. L’architecture et les arts de l’espace. Entre industrie et nostalgie (1997).

La modernità, i rapporti tra architettura, storia e società, il transfert di esperienze e di modelli sono al centro di alcune esposizioni da lui curate, come Architecture in Uniform: Designing and Building for the Second World War al Canadian Centre for Architecture nel 2011 e Modernità: promessa o minaccia? al padiglione francese della Biennale di Venezia del 2014. Sull’URSS e gli Stati Uniti, in particolare sull’americanismo, Cohen ha scritto numerosi libri e articoli, tra i quali Le Corbusier et la mystique de l’Urss. Théories et projets pour Moscou, 1928-1936 (1987), Américanisme et Modernité:
l’idéal américain dans l’architecture (con Hubert Damisch, 1992); ha curato la mostra Building a New World: Amerikanizm in Russian Architecture del 2019 al CCA. A confermare il filo rosso che attraversa questo suo percorso di ricerca, è il recente lavoro in corso sull’architettura in Francia durante il regime di Vichy, dal titolo provvisorio Le Maréchal et les architectes: una delle piste da lui lasciate incompiute, insieme all’opera su Frank Gehry (di cui è stato pubblicato nel 2021 il primo volume Frank Gehry: The Masterpieces).

Il contributo di Jean-Louis Cohen all’architettura contemporanea, e non solo alla sua storia e alla sua critica, è ancora in parte da esplorare, in particolare in Italia. Anche per questo, sarebbe auspicabile una traduzione italiana della storia dell’architettura L’architecture au futur depuis 1989, pubblicata nel 2012 da Phaidon in edizione francese, inglese e portoghese. Così come delle lezioni tenute al Collège de France nella cattedra internazionale “Architecture et forme urbaine (2013-2021)”, la cui importanza risiede peraltro nel fatto che, con lui, l’architettura entra per la prima volta nella prestigiosa istituzione francese, a testimonianza di un’idea dell’architettura stessa come avventura intellettuale, che mi sembra costituire il lascito principale di Cohen.

Luigi Manzione

13.8.23