Anche quest’anno Torino è la capitale delle trasformazioni urbane con il festival Utopian Hours, diretto da Luca Ballarini e Giacomo Biraghi, nella prestigiosa sede della Lavazza, recuperata e progettata da Cino Zucchi. Come ogni anno ospiti provenienti da culture e mondi diversi per presentare le ricerche più smart e cool del momento che sollecitano alcune riflessioni. L’edizione odierna, rispetto al passato, vuole tracciare una relazione più forte con la politica e gli amministratori locali, non solo come speakers ma attraverso tavoli di discussione sui temi della smart city e dei vuoti urbani. Diversi attori, tra funzionari, assessori, attivisti, urbanisti, (unica figura assente è l’architetto) che fanno le loro lectures in perfetto american style, in inglese (solo a Torino e Milano è possibile, ve lo immaginate a Genova o Roma?), una dimostrazione del livello internazionale della ex capitale sabauda. Torino, città bellissima e complessa, tra le Alpi, le fondazioni bancarie, il cioccolato, gli Agnelli-Elkann, la Juventus, Urbano Cairo il patron del Toro e di RCS (compresa la rivista Abitare), i salotti dell’arte contemporanea italiana, dove l’architettura contemporanea si costruisce con lentezza. E’ il caso del grattacielo rinnegato da Fuksas per la Regione Piemonte, la torre di Intesa-San Paolo di Renzo Piano, le architetture verdi di Luciano Pia.
Non ci sono grandi trasformazioni in atto, i Murazzi lungo il Po sono spazi per la vita notturna ma senza una progettualità di fruizione del lungo fiume di matrice europea, gli spazi pubblici rimangono ancorati alla loro matrice ottocentesca…Forse per queste ragioni che Ballarini si inventa l’associazione Torino Stratosferica con visioni utopiche sulla città. D’altronde i suoi masterpieces sono Fuller, Soleri, Geddes, Jacobs, mentre la città annaspa senza un progetto di sviluppo. Eppure le suggestioni della tre giorni di Utopian Hours dovrebbero esercitare un sussulto nella amministrazione Lo Russo. Si parla troppo e si fa poco, i ricercatori e gli operatori delle trasformazioni urbane parlano il linguaggio del presente-futuro, i politici invece sono invischiati nel presente-passato, usano slogan smart, transizione, dal basso, ma senza nessun contatto con la realtà delle cose. E’ emerso chiaramente quando a porte chiuse nel Mercato Centrale, altra discutibile opera di Fuksas a Porta Palazzo, ci siamo confrontati con le questioni dello spazio pubblico e subito ci siamo ingarbugliati nelle regole, nelle incapacità delle norme di stare al passo con i tempi, quando dalla finestra della sala in cui eravamo Porta Palazzo era occupata “informalmente” dai banchi del mercato, così per dire…
A volte la città è più avanti della politica. C’è uno scollamento tra i tecnici e i politici. I primi hanno bisogno di risposte chiare che possano garantire soluzioni efficaci alle questioni come la mobilità, gli usi e le funzioni sia negli spazi aperti che nel patrimonio immobiliare esistente. Tuttavia viene naturale osservare che oggi l’urbanistica non ha più potere, non gestisce nulla, in quanto è il neo-liberismo con le sue azioni finanziarie a gestire i processi sfruttando le debolezze della politica, dove i sindaci privi di una idea di città si affidano esclusivamente alle proposte dei privati. I politici abbozzano, mostrano immagini deliranti del cosiddetto urbanismo tattico spacciato per riqualificazione e poi ritorna il grande tema della transizione ecologica, una parola vuota quando i cittadini sono i primi a non saper e voler fare la raccolta differenziata, mischiando tutto. Non serve forestare con migliaia di alberi se poi la mobilità avviene con i suv griffati, è solo ipocrisia. Ma state tranquilli cari lettori, ci salveranno i dati. Entusiasmante la ricerca del City Science Lab dell’M.I.T. presentata da Markus Elkatsha e le domande che l’urbanista ha posto alla platea esito dei dati e degli algoritmi analizzando le città internazionali tra le quali Chicago, Londra, Amsterdam, Lione, Taipei. L’Italia non appare nei radar delle ricerche internazionali, se non per quelle sui movimenti utopici degli anni sessanta (i Radicals), infatti a domanda specifica Elkatsha ha precisato che aveva provato a lavorare su Roma ma evidentemente la complessità della capitale manda in tilt anche il super data center americano.
Non tutto è scontato per il futuro delle città, la speranza viene dalla settantottenne Amanda Burden, oggi presidente di Bloomberg, che ha lavorato alla New York State Urban Development Corporation ed ha al suo attivo un centinaio di progetti di riqualificazione urbana nella metropoli newyorchese. Il suo speech inizia mostrando una fotografia di una ferrovia sopraelevata dismessa, in primo piano i fiori e la vegetazione spontanea tra i binari, l’immagine successiva ritrae lo stesso spazio con i newyorchesi e le sedute, è la mitica High Line. Il miglior progetto di Diller&Scofidio+Renfro che ha dato una nuova opportunità spaziale alla città di vedere se stessa, in cui la Burden è stata fautrice della sua realizzazione. Nella breve conversazione che ho avuto con lei ha affermato che bisogna spendere tempo per osservare lo spazio e i fruitori, ascoltare le persone e le loro aspirazioni per quello spazio, avere le risorse economiche per testare il lavoro degli architetti e dei paesaggisti in modo che si possa integrare nelle comunità. Infine ha concluso che il futuro delle città con gli effetti sempre più devastanti del cambiamento climatico si potranno salvare solo con la presenza, all’interno del loro territorio, della deep nature (una natura profonda, evitando però soluzioni sbagliate come il verde patetico sul tetto del Lingotto). Così come abbiamo scritto nel focus tematico “Make for Nature”, dobbiamo cambiare il paradigma dal fare architetture oppositive alla natura le dobbiamo pensare collaborative con essa. Quale futuro per le città? Al momento c’è confusione, non c’è una strategia, ma vi è la speranza che le ricerche sviluppate dagli operatori (architetti, urbanisti, sociologi, attivisti) non rimangano solo come un esercizio accademico ma trovino una applicazione reale nella nostra quotidianità, a patto che la politica abbandoni la retorica in favore di un update normativo e di una concreta azione nei territori.
16.10.22
Immagine di copertina: Amanda Burden