Emanuele Piccardo. Dialogo con Stefano Boeri

Sono passate alcune ore dopo la presentazione del progetto vincitore del masterplan della Valpolcevera all’Istituto Don Bosco di Sampierdarena, scelto come luogo del dialogo tra architetti e abitanti, incontro Stefano Boeri, che conosco dagli anni novanta, nel fulcro della città, piazza Matteotti, dove si apre il Palazzo Ducale. Il sole illumina la piazza e una vitalità inaspettata ci accoglie per una conversazione sul progetto del cerchio rosso e sul futuro di Genova. Quello che incontro oggi è un Boeri diverso, maturo, uomo di potere, presidente della Triennale, amato e odiato, ma sempre lucido nelle analisi sulle trasformazioni urbane. Non posso quindi non partire dalla sua storia personale con Genova.

EP: Tu hai insegnato a Genova negli anni novanta per dieci anni, e hai avuto un ruolo importante nelle vicende urbanistiche della città. Nel 1996 hai creato insieme all’autorità portuale l’Agenzia del Piano Regolatore Portuale, dove inviti architetti e urbanisti tra i quali Rem Koolhaas, Bernardo Secchi, Manuel De Sola Morales, Marcel Smets a riflettere sul futuro di Genova. Come è cambiata la città in questi anni?

SB: E’ una città che ha sempre vissuto di un sistema di energie prossime le une alle altre ma che hanno strategie autonome. Dal punto di vista della portualità ho vissuto gli anni più bassi. Mi ricordo la crisi, ed ho vissuto l’inizio della ripresa con il Piano del Porto con Gallanti…devo dire che oggi il porto ha ricominciato ad avere una potenza quantitativa. Dopodiché è una città che per ragioni infrastrutturali è rimasta al palo. Se penso al terzo valico per anni è rimasto una mitologia, oggi invece potrebbe aiutare a portare su ferro gran parte dei container e poi Genova ha pagato l’assenza dell’alta velocità. Mentre Milano, Torino, Bologna ne hanno usufruito Genova è rimasta staccata da questo sistema e si sente, in questo senso Bologna è rinata. Se invece dovessi guardare ad un aspetto più antropologico, i ragazzi genovesi che incontro a Milano e nel mondo, che sono venuti via da questa città, dimostrano che deve essere fatto ancora molto…

EP: Nelle grandi trasformazioni urbane quanto è importante la committenza e la politica? In che modo l’architetto può essere decisivo?

SB: E’ fondamentale. Alla fine l’architettura anticipa il futuro degli spazi abitati e la politica costruisce le condizioni per la loro trasformazione, sono due campi che dovrebbero avere un dialogo molto stretto.

Credo che l’esempio fornito dal bando del parco sotto il ponte sia partito nel modo giusto, con una grande sinergia politica. Per la prima volta in Italia si riesce a far partire sia una grande infrastruttura, il ponte di Piano, sia un progetto sul territorio che vive attorno a questa infrastruttura. Quello che mi piace è che non si parla di compensazione, fino ad oggi ogni volta che si faceva una superstrada o un ponte si compensava con alberature o servizi ai cittadini. Qui finalmente si parte simultaneamente. Un modo nuovo di pensare l’urbanità e le infrastrutture; in questo caso la politica si è mossa bene ora sta all’architettura essere all’altezza. Adesso la responsabilità maggiore è nostra.

EP: Una delle criticità del bando di concorso è il ristretto perimetro dell’area progettuale. Non pensi che fosse troppo limitata a Certosa rispetto al resto della Valpolcevera? Quello che è mancato in questi anni è una visione che contemplasse l’incidenza delle infrastrutture sul territorio e che il crollo ha accentuato…

SB: Sicuramente il perimetro è limitato in alcune parti, soprattutto il primo lotto che comprende la sola area sotto il ponte. Noi abbiamo lavorato in estensione e abbiamo l’ambizione di generare effetti positivi sia verso valle sia verso monte. Questo lo vedo come un elemento propositivo, noi dovremmo fare un progetto definitivo ma l’amministrazione deve bandire le gare per iniziare a fare il parco, un pezzo del cerchio, e magari riuscire a rigenerare un paio di edifici. Sono speranzoso che l’occasione venga colta, soprattutto se penso alla sfida energetica, a Genova possiamo tracciare un pezzo di futuro pur senza nascondere o dimenticare il passato. Stiamo recuperando edifici industriali, stiamo lavorando in contatto con Ansaldo che ha sempre fatto turbine e quindi la torre di turbine a vento se vogliamo è una continuazione di quella eredità. Io leggo in questo progetto una attenzione alla storia del territorio che conosco perché l’ho studiato con gli studenti. E’ una storia nobile, viva, nonostante tutte le crisi e come mi ha riferito Renzo Piano: Genova e’ una città di aria e di ferro. Penso sia bene partire con il progetto ma certamente occorre avere una visione molto ampia.

EP: Quanto l’aspetto delle risorse economiche può influire per la riuscita del progetto, e in che modo la politica deve costruire le condizioni del contesto affinchè il masterplan venga attuato?

SB Quello che dici è vero, le risorse sono un problema fondamentale. Ora noi stiamo dialogando con i cittadini e molte cose andranno corrette e messe a punto, bisogna però che si creino parallelamente le energie economiche. Oggi c’è una piccola parte però questo è un luogo importante per il rilancio dell’immagine dell’intero paese, non è solo un territorio della periferia industriale abbandonata genovese…Noi abbiamo detto portiamo la massima qualità di spazi pubblici, verde, rigenerazione degli edifici, energetica e della mobilità. Ho lavorato con persone di grandi qualità come Petra Blaisse, Andrea Boschetti, Mobility in Chain, Transsolar, Tempo riuso, Laura Gatti, questo team è in grado di attrarre possibili finanziatori privati e pubblici, per cui sono fiducioso che le risorse si troveranno.

EP: Quanto l’architettura può arginare il fenomeno del sovranismo?

SB: Sappiamo molto bene che a volte l’architettura nasce dal sovranismo. Ci sono storie di architetture, anche sublimi, nate dalle tirannie e dalle dittature. Oggi c’è una consapevolezza diffusa che la sfida del cambiamento climatico porta in direzione opposta, infatti non la puoi vincere con gli editti o i gesti autoritari ma bisogna muoversi tutti insieme, subito, e su tutti gli aspetti della vita, dalla dieta alla mobilità, al verde. Bisogna immaginare una energia dal basso che è l’unica risorsa per arginare un trend drammatico del riscaldamento del pianeta. Penso che l’architettura sia uno di questi strumenti di energia diffusa, se sarà capace di accogliere l’energia del sole, del vento, dell’acqua… se l’architettura ha la capacità di stoccare l’energia e renderla bene comune, di realizzare spazi pubblici legati al verde e alla forestazione, allora questa che sta nascendo è una architettura diffusa senza grandi gesti come abbiamo fatto con il nostro progetto.

EP: Credo che la fortuna del progetto verrà misurata sulla capacità di Genova di farlo proprio, anche di quella parte di città che non ha elaborato il lutto del crollo, leggendo la Valpolcevera come una valle distante dalla loro quotidianità. Se la politica tutta sarà capace, questo potrà essere un progetto per Genova e non solo per Certosa.

SB: Questo è un tema che riguarda molto la politica, consiste nel rendere consapevole la comunità urbana che quel pezzo di territorio ci riguarda tutti e rende consapevole l’intero paese. Quel ponte era dell’Italia, costruito in un periodo in cui si facevano le autostrade, in cui si costruivano le grandi infrastrutture che hanno reso moderna l’Italia. Quel crollo è stato simbolico per il sistema paese e quello che sta succedendo in quella vallata sarà sotto gli occhi di tutti, Genova deve sentirsi coinvolta.

C’è una energia incredibile in questa città che risorge ogni volta, dopo il G8, dopo gli incidenti nel porto, dopo le alluvioni e quando risorge si muove tutta assieme. Ha una potenza discreta, non immediatamente visibile. Ho un grande amore per Genova una città mai doma!

[Emanuele Piccardo]

13.10.19

archphoto ringrazia Elettra Zadra per la disponibilità.
La fotografia della cover è di Camilla Ponzano.

Sono attivati i tavoli di partecipazione degli abitanti nelle date del 16 e del 21ottobre dalle 14 alle 17 mentre il 30 ottobre dalle 11 alle 13, alla presenza dei progettisti, nella sede dell’Istituto Don Bosco nel quartiere di Sampierdarena.