Emanuele Piccardo_A proposito di città

Renzo Piano

Ho cercato un appiglio ideativo e non poteva che essere il Vesuvio. Mi sono trasformato in topografo, ma anche in contadino perchè ho voluto progettare nel totale rispetto del paesaggio. Ho costruito una magnifica piazza (…) un posto dove le differenze spariscono, dove lo stare insieme diventa rito di scambio”.
Renzo Piano a proposito del Centro Commerciale Vulcano Buono di Nola

Sono la fine della città e la postmetropoli (?) i soggetti degli ultimi libri dell’urbanista e storico dell’architettura Leonardo Benevolo, intervistato dal giornalista Francesco Erbani, e dell’architetto Vittorio Gregotti, il più grande architetto italiano vivente come affermato dal giornalista de La Stampa Francesco Rigatelli. Ma siamo sicuri che la città sia finita? Forse non sarebbe meglio dire che gli architetti e gli urbanisti non sono più capaci a progettarla?
La città prosegue la sua caotica espansione seguendo le leggi del mercato senza interruzioni. A nessun immobiliarista interessa se il quartiere per nuovi ricchi sia funzionale alla città. E’ questo il problema, ovvero un assemblaggio senza regole di edifici sparsi qua e là espressione di una schizofrenia architettonica, come nelle recenti speculazioni nell’area sud di Milano. L’obiettivo è creare profitto e non fare città, ne tanto meno garantire una qualità architettonica agli insediamenti nonostante il coinvolgimento di una truppa di architetti eclettici. In questo senso Benevolo ci aiuta a capire che “lo spazio della città è in qualche modo percepito come un insieme…e costituito di elementi ravvicinati. Questo spazio-prosegue-deve apparire durevole nel tempo e vincolante per i successivi interventi edilizi”. Definire la città come un insieme è operazione complessa.Occorre un pensiero teorico che delinei un’idea di città con funzioni precise e infrastrutture, ma soprattutto un progetto urbanistico che invece è assente. Assente come la politica che non riesce e non vuole governare il territorio delegando sempre più al mercato con effetti negativi per tutti, architetti e cittadini.

In questo panorama, tra architettura e speculazione, si colloca la tipologia dello shopping mall, attorno al quale si realizzano quartieri imponenti. Un tema progettuale interessante che gli architetti snobbano anche se esistono casi paradigmatici come la sede dell’Ikea di Porta di Roma di Pietro Valle e i due centri commerciali progettati da Renzo Piano. Il primo a Parigi nel 1990 lungo la superstrada Peripherique concepito come un’arca di acciaio satinato, che riprende nella forma il flusso veicolare, la cui superficie esterna è completamente cieca. Nel centro commerciale “Vulcano buono” di Nola l’architetto genovese riprende la morfologia del Vesuvio, con il quale dialoga a distanza, creando uno spazio tettonico rivestito di erba e incassato nella terra. Ciò definisce una grande piazza circolare come un propulsore di energia. Ancora una volta è evidente la capacità di Piano nel pensare allo spazio pubblico e all’inserimento dell’edificio nel contesto costruendo una parte di città. Diversamente dal centro commerciale Euroma2 che Franco Purini realizza all’Eur, uno stravagante edificio postmoderno con cupola e tetto verde a metà tra Emilio Ambasz e i fratelli Krier, completamente avulso dal contesto. Proprio contro questa incapacità a fare città dovrebbe scagliarsi Gregotti nella sua ultima fatica editoriale, ma non può avendo condiviso con Purini l’esperienza dello Zen palermitano.

Invece da finto progressista ma da reazionario praticante attacca Piano sul grattacielo Intesa-Sanpaolo a Torino, in quanto inutile accusando il suo ex allievo di pensare di più alla città come insieme anziché al gesto unico come simbolo in mezzo al caos . D’altronde Benevolo scrive che nell’inseguimento del futuro c’è sempre un momento in cui prevale l’impressione di aver compiuto un passo troppo lungo. Infatti è un problema italiano non saper progettare e immaginare il futuro evidenziato dal conservatorismo di sinistra ben rappresentato da Gregotti, già direttore di Casabella e allievo di Ernesto N. Rogers, fu sostenitore della Torre Velasca dei BBPR ma oppositore dell’avanguardia neo-brutalista di Vittoriano Viganò. Oggi attacca il partito delle archistar, a cui appartiene, senza distinzioni ma generalizzando. Non mancano però le contraddizioni tra essere contro il mercato (teoria) ed essere a favore (progetto). Il caso emblematico sono le due nuove città di fondazione cinesi di Pujiang e Jiangwan, esempi di architetture globali senza radicamento al contesto. Erigersi a moralizzatore dell’architettura globale che non produce città limitandosi ad analizzarne le cause è un processo riduttivo che determina una dissonanza tra la teoria e il progetto. Questo atteggiamento impedisce un new deal dell’architettura ancorata al passato e paurosa, nelle sue frange più dogmatiche, del nuovo se non realizzato da chi per sessant’anni ha dialogato con quel potere che vuol farci credere estraneo al proprio agire.

[Emanuele Piccardo]