Archimars. Hive Mars: una tesi sperimentale

Perché Marte?

Il team Archimars, insieme al relatore Prof. Arch. Giuseppe Fallacara e al correlatore Arch. Vittorio Netti, durante il laboratorio di Tesi in Progettazione Architettonica (Politecnico di Bari), ha scelto di trattare il tema della Space Architecture, con l’obiettivo di divulgare, incuriosire ed invitare gli utenti ad interfacciarsi con la disciplina. Marte, così come la Luna, è tra le principali mete di interesse delle agenzie spaziali terrestri e dei privati competenti in questo settore. Numerose sono le missioni che sono state progettate e sono state effettuate sino ai nostri giorni, come dimostra il più imminente ammartaggio di Perseverance, avvenuto il 18 febbraio.

Espansione della città al 2066

L’architettura di missione

Prima di definire il vero e proprio progetto di un insediamento è utile stilare un diagramma di missione che rappresenti le fasi di lancio, viaggio e atterraggio considerando tutti i mezzi necessari. L’architettura di missione prevede due fasi principali: una prima fase vede il lancio del veicolo spaziale Big Falcon Rocket che verrà utilizzato per il trasporto dei macchinari utili alla preparazione del sito prima dell’arrivo dell’uomo; la seconda fase consiste nel lancio del veicolo spaziale SLS BLOCK 1B, che porterà il primo equipaggio di otto persone su Marte.

Indispensabile per una missione è definire un luogo di atterraggio. Il sito scelto è Hellas Planitia, il bacino più esteso su Marte, formatosi a seguito di un bombardamento di un grande asteroide, e situato nell’emisfero sud del pianeta. Il fondo del bacino è di circa 7.152 metri in profondità e si estende per circa 2.300 km da est a ovest. La scelta di questo sito è dipesa da una serie di fattori come: la profondità, che permette di avere una percentuale di radiazione più moderata rispetto alle altre aree in superficie, la ridotta presenza di rocce sul suolo, e la presenza di rilievi moderati, che rende l’area più adatta per lo sviluppo di un insediamento e per le operazioni di atterraggio. Il fattore più decisivo nella scelta del sito è la presenza di acqua attestata dal ‘’terreno a nido d’ape’, una caratteristica geologica il cui processo è legato al principio di risalita del ghiaccio.

Il progetto

Una volta scelto il sito di Hellas Planitia, viene considerata solo una più ristretta area di esplorazione, posta nell’area centrale del bacino, nella quale avrà luogo la costruzione dell’insediamento. Il progetto prende il nome di Hive Mars con l’intento di riprendere la caratteristica fisica del terreno a nido d’ape, ritrovato all’interno del bacino, e la stessa ne definirà anche il principio di espansione. L’insediamento segue uno sviluppo lineare enfatizzato dalla presenza di un asse che collega i due poli principali: il polo dell’area di atterraggio, primo luogo di contatto tra l’uomo e il suolo marziano, ed il polo dell’habitat. Lungo l’asse generatore si affacciano tutte le aree necessarie alla produzione delle risorse quali acqua, ossigeno, materiali da costruzione, energia elettrica, etc.

Importante è stato definire tutte le fasi di costruzione dell’insediamento, a partire dall’atterraggio del veicolo spaziale STARSHIP il quale rilascia tutti i macchinari necessari alla preparazione e all’esplorazione del sito prima dell’arrivo dell’uomo.
Tutti gli otto macchinari automatizzati, appositamente progettati dal team Archimars, prendono il nome di Bee Family Rovers: il design di ciascun macchinario si ispira agli insetti, in particolare alle api, ed ognuno ricopre un ruolo prima, durante e dopo la costruzione dell’insediamento.

In ordine di arrivo ritroviamo lo Spider Explorer ricopre lo stesso ruolo del Perseverance Rover infatti è progettato per analizzare ogni parte del sito utilizzando specifiche apparecchiature come telecamere e radar. Il Bee Flattener ha il compito di spianare e di rendere pianeggiante l’intera area da edificare per evitare dislivelli del terreno che compromettano sia rischi per i rovers che per gli umani. Il Bee Escavator ha il compito di scavare e raccogliere lo strato superficiale di regolite dalla quale, poi, ricavare le risorse necessarie. Il Bee Transporter è il rover addetto al trasporto del materiale mediante un cassone interno. Il Bee Processor ha il compito di trasformare la regolite in materiale da costruzione per poi trasferirlo al rover Bee 3D Printer, cioè una stampante con braccio meccanico a tre assi in grado di costruire l’involucro esterno dei moduli abitativi. Oltre questi rover ci sono anche il Bee Lifter e il rover pressurizzato, dal nome Archimars Pressurized Rover, il quale sarà utile per tutte le attività di esplorazione superficiale durante l’intera permanenza della crew. Una volta che il sito è pronto per ospitare la prima crew, SLS BLOCK 1B atterra sul suolo marziano. Al suo arrivo Archimars Pressurized Rover conduce gli astronauti all’interno dell’habitat il quale si compone di tre unità abitative, una principale e due secondarie, ed un hangar per proteggere il veicolo dagli agenti atmosferici. La futura espansione si ispira alla conformazione territoriale a nido d’ape esagonale, ripetibile all’infinito, in grado di tassellare lo spazio e di collegare, tra loro, tutte le unità abitative.

Piano terra

Primo piano

Secondo piano

Ogni unità abitativa è di tipologia ibrida: l’impiego di una tipologia di classe 2, ossia stampata in 3D, per l’involucro di protezione esterno, integrata con una tipologia di classe 3, ossia gonfiabile, per il modulo interno, è risultato essere il più idoneo, in termini di risparmio di costi, di tempo e di comfort. Nelle aree del globo terrestre con caratteristiche fisiche e climatiche più estreme, l’uomo fa sempre tesoro delle più antiche tecniche di costruzione: per questo, il team Archimars ha ripreso nella forma e nella caratteristica strutturale autoportante le antiche tholos e le cupole nubiane.
Il progetto dell’involucro esterno, del modulo abitativo, presenta una sezione ogivale troncata superiormente, a causa della tecnologia costruttiva impiegata, che non permette di chiudere adeguatamente l’estremità superiore della cupola e di non generare supporti in fase di stampa, e per permettere l’ingresso del modulo abitativo di classe 3 dall’alto.

La costruzione dell’involucro esterno vede l’impiego della materia prima marziana, la regolite. Quest’ultima viene raccolta dall’escavatore e trasportata all’interno del processatore di regolite. La materia viene miscelata sia con un legante, il PLGA, polimero elastomerico a base di glucosio, che viene estratto da rifiuti organici e biologici, sia con dei solventi. Il materiale ricavato, cioè il cemento marziano, viene trasferito alla stampante 3D.

Una volta iniziato lo scavo dell’area per le fondazioni, si procede con la stampa per layers prima delle stesse, poi della cupola ogivale; l’interruzione della stampa permette di inserire gli airlocks di collegamento e le finestre. Una volta terminata la costruzione, il rover Bee Lifter inserisce il modulo abitativo gonfiabile non dispiegato dalla cavità superiore, a sua volta chiusa superiormente da uno skylight di forma troncopiramidale che sigilla ermeticamente l’interno.

Si ottiene, dunque, una struttura autoportante cupolata la cui parete muraria presenta una superficie liscia, nella parte interna, e una parte esterna modellata, per mezzo di un software di modellazione parametrica, con l’intento di riprendere le dune di sabbia marziana. Questa scelta risponde a due fattori determinanti quali l’auto-ombreggiamento della struttura stessa e la capacità di poter trattenere le polveri che si depositano su di essa. Con il tempo, queste polveri irrigidiscono la struttura e ne aumentano anche lo spessore murario, favorendo uno strato aggiuntivo di protezione.

Vista dell’area della cucina

L’habitat interno di classe 2 è caratterizzato da un involucro gonfiabile a forma d’uovo e da una struttura interna in acciaio dispiegabile. Una volta che il modulo gonfiabile chiuso viene calato dall’alto all’interno della cupola attraverso il rover Bee Lifter, inizia il suo gonfiaggio e dispiegamento. Alcune pompe d’aria integrate procedono dapprima con la pressurizzazione e dunque con il gonfiaggio dell’involucro in tessuto con aria marziana filtrata. Contemporaneamente, attraverso un sistema meccanico automatizzato, si ha il dispiegamento della struttura interna in acciaio a partire dal dispiegamento del core centrale, poi dei solai e infine dei pilastri. Una volta dispiegato, il modulo abitativo interno occupa quasi tutto il volume interno della cupola esterna e si articola su tre livelli, di area calpestabile decrescente, accessibili e collegati tra loro verticalmente da un’armoniosa scala elicoidale posta all’interno del core centrale, centro distributivo e centro del sistema di coltivazione idroponica dell’intero modulo abitativo.

Ciascuno dei livelli presenta tre finestre disposte su assi di centoventi gradi, le quali non svolgono tanto la funzione di illuminare l’interno, quanto più quella di offrire all’uomo una visuale verso l’esterno, liberandolo in parte dal senso di chiusura ed isolamento che vive. La funzione di illuminare l’ambiente interno la svolge invece un lucernario circolare montato sull’estremità che chiude il sistema del core. Tale lucernario prende luce dallo skylight, il quale, grazie a un sistema di persiane automatizzate, durante determinate ore del giorno si apre per irradiare dall’alto il modulo interno. La luce dunque filtra dall’alto attraverso il lucernario, illumina il secondo piano e raggiunge parzialmente i livelli inferiori dall’intercapedine tra l’involucro gonfiabile in tessuto e i solai la struttura interna.

Ciascun livello adempie a specifiche funzioni
Il piano terra individua uno spazio comune di 70 mq, dove si svolgono le principali attività di controllo e dove si collocano l’area di ricerca scientifica e l’area medica; osservando gli elaborati, si nota come la disposizione interna di tali ambienti, deriva dalla presenza di tre airlocks di collegamento con gli altri moduli abitativi disposti su assi di 120°. In particolare, in questo livello, è posta una stampante 3d, trasportata dalla Terra, che consente di stampare in loco buona parte degli elementi di arredo, porte e tramezzi di tutto il modulo abitativo, che verranno rapidamente disposti dall’uomo al suo arrivo.
Il primo piano, si configura come un’area privata di 60 mq circa, ed è caratterizzata da un corridoio distributivo attorno al core che porta alle aree comuni, rappresentate dal soggiorno a nord-est e dalla sala pranzo a sud-ovest, e alle aree private, ossia le quattro camere da letto dei membri del primo equipaggio. Il secondo ed ultimo piano si configura come un’area di 45mq, un’area quindi più ridotta per via della rastremazione massima dell’uovo esterno. Questo carattere ha spinto a lasciare tale spazio libero dalle pareti e dagli ingombri, rendendolo un unico open space destinato al relax, allo svago, alla lettura e allo sport, funzioni che attribuiscono al livello una sfera semi-privata.

Vista dell’area di ricerca

In un primo insediamento umano su un pianeta totalmente inabitato, dove le caratteristiche climatiche sono avverse alla crescita di specie vegetali e dove si vive una condizione estrema di isolamento, il team Archimars ha avanzato una proposta progettuale di due sistemi del verde: uno volto all’approvvigionamento, dunque alla produzione di cibo; un altro caratterizzato da un giardino virtuale.
Il primo è caratterizzato da un sistema di contenitori di diversa dimensione che, con l’impiego delle grownlights, permette la coltivazione delle specie vegetali proprie della dieta degli astronauti. Il secondo sistema del verde ha un carattere più psicologico: con l’impiego di ologrammi che proiettano immagini tridimensionali di alberi, arbusti e fiori propri di nazioni diverse, si vuole restituire a ciascun componente dei futuri equipaggi, provenienti appunto da parti del globo diverse, immagini, suoni e sensazioni a loro familiari. Entrambe le proposte avanzate fanno parte di un’ipotesi più futura, appartenente ad una futura fase di espansione che vede l’insediamento umano mutare e crescere in una colonia.

In conclusione, traendo insegnamento dai nostri antenati e, allo stesso tempo, con l’ausilio delle conoscenze e delle tecnologie avanzate di cui disponiamo, abitare un luogo estremo quale Marte, oltre i confini terrestri, è possibile. Ponendosi come limite i caratteri ambientali estremi che caratterizzano Marte, quali la sua lontananza dalla Terra, la necessità di costruire nel modo più standardizzato possibile, la necessità di limitare gli spazi e l’impiego di risorse, l’uomo sarà in grado di costruire un primo insediamento umano, che in un futuro ancora più lontano, probabilmente caratterizzerà un’area archeologica da proteggere, un monumento alla prima città futura interplanetaria.

[Archimars]

19.3.21

Archimars: Alessandro Angione, Federica Buono, Ivana Fuscello, Isabella Paradiso, Mirha Vlahovljak, Hana Zečević

Relatore: prof. Arch. Giuseppe Fallacara
Correlatore: Arch.Vittorio Netti