Emanuele Piccardo. Disco Ruin, nostalgia per un tempo che fu

Filippo Monti, Woodpecker, Milano Marittima 1966

Lisa Bosi e Francesca Zerbetto nel 2020 realizzano “Disco Ruin“, un film, in forma di documentario che racconta, con un velo di nostalgia, il tempo che fu del clubbing italiano, dagli esordi con le discoteche degli architetti radicali al Cocoricò. Una carrellata di discoteche, personaggi, dj, promoter e producer, che ritraggono un fenomeno del costume che ha caratterizzato le nostri notti. Fino agli anni sessanta del secolo scorso ballare avveniva nelle balere, con rigorosa moralistica separazione tra uomini e donne. Nel dopoguerra con l’influenza culturale americana, già evidente in alcuni film, la musica importata ha cambiato fortunatamente i nostri costumi e abbattuto l’ipocrisia di matrice cattolica.


Pubblicità del Piper, Archivio 3C+t Capolei Cavalli

Nel 1965 Giancarlo Capolei, Francesco Capolei e Manlio Cavalli realizzano a Roma, il primo Piper italiano. È la prima volta che i giovani vengono proiettati, grazie all’architettura della discoteca, in una dimensione internazionale del divertissment, al pari dei loro coetanei londinesi e newyorchesi. Così la discoteca, il club, il piper, consentono ai giovani la libera espressione della propria individualità senza tabù e senza restrizioni in netta contrapposizione alle regole imposte dal bigottismo famigliare.

La discoteca, concepita come una macchina, con immagini ammalianti proiettate con il Kodak Carousel e le lavagne luminose, dove i frequentatori sono avvolti in un ambiente privo di confini culturali e sociali, pone al centro il divertimento rappresentato dal ballo e dalla conquista di nuovi amori. In questo modo lo spazio diventa luogo per esprimere, anche, la propria creatività che ha nel travestimento il suo fulcro, testimoniato dal truccarsi, non solo esclusiva femminile, agli abiti luccicanti. Indubbiamente le prime discoteche dal piper romano a quello progettato da Pietro Derossi a Torino nel 1966 risentono dell’influenza di Marshal McLuhan e del suo The medium is the message.

Gruppo 1999, Space Electronic, Firenze 1969, Archivio 9999

“C’era un malcontento generale perché c’era questa volontà di contrastare i genitori -afferma Giancarlo Capolei progettista del Piper romano- e inizia a pesare molto il movimento operaio […] noi eravamo innamorati del Bauhaus e dello studio sul teatro totale di Gropius[…]”. Il riferimento al teatro totale di Gropius non é casuale, perché é concepito come uno spazio dove il pubblico é circondato da schermi di proiezione; richiamando il concetto di happening come nuova forma di teatro. Così nella discoteca l’attore è sostituito dallo spettatore che, in modo conscio/inconscio, diviene performer, immerso nei suoni, nelle luci e nelle proiezioni. Si determina così quel senso di straniamento che il critico Tommaso Trini definisce su Domus:

“Elettricamente esteso, pare, ma di sicuro psicovestito in perfetta letizia, e sempre più desideroso di raccogliersi nella stereoestasi dell’alta fedeltà musicale, questo nostro corpo (circuito) umano viene liberandosi proprio dappertutto”.

Diverse sono state le tipologie di discoteche che in trent’anni si sono susseguite, in parallelo con le mutazioni dei gusti musicali. Si è passati dal riuso di spazi esistenti come nel caso del piper torinese di Derossi, il fiorentino Space Electronic del gruppo 1999 (fondato da Caldini, Fiumi e Bolognesi) il milanese Bang Bang di Ugo La Pietra, fino alla costruzione di nuove discoteche come Le Cupole a Castel Bolognese opera di Dante Bini, o la piramide del Cocoricò. Se all’inizio erano i gruppi rock a invadere i Piper, con l’avvento negli anni settanta della disco music, proveniente da etichette storiche come la Motown, assistiamo anche alla nascita di personaggi come Donna Summer, le Sisters Sledge, Giorgio Moroder, il funky di James Brown…In questo contesto emerge la figura del disc jokey che condiziona il comportamento dei giovani nello spazio al pari delle nuove droghe che, fin dagli anni sessanta, aiutano a sballarsi e che consentono di resistere per molte ore sotto il bombardamento ossessivo della tecno e della house music. Un movimento sinuoso di corpi e colori al ritmo della musica in spazi che contengono 2000, 3000, 5000 persone, piccole città italiane, attivo dal giovedì alla domenica.

Madrugada, Porto Viro, Rovigo

Disco Ruin costruisce un grande caleidoscopio del mondo dei club, mettendo al centro lo spazio, i comportamenti ma soprattuto i veri protagonisti: i dj. In una alternanza di volti da Claudio Coccoluto, recentemente scomparso, ad Albertino, Paolo Martini, Leo Mas, Corrado Rizza e tanti altri che raccontano le loro storie, gli eccessi e le fascinazioni del mondo della notte. Storie che sono implementate da un lavoro di ricerca meticoloso delle due registe, Bosi e Zerbetto, negli archivi privati e pubblici, per introdurre frammenti della vita notturna insieme alla figura androgena che è usata come trait-d’union tra le varie parti del film.

Oggi è cambiato il modo di vivere la notte  e quella creatività che la musica e lo spazio generavano non c’è più al pari della trasgressione, che ritroviamo nella quotidianità dei social e di una certa programmazione televisiva finta come Grande Fratello e Isola dei Famosi.

[Emanuele Piccardo]

 

Per approfondire il tema delle discoteche

M.Ornella, Rivoluzione 9999, plug_in, Busalla 2020
M.Kries, J. Eisenbrand, C. Rossi, Night Fever. Designing Club Culture 1960-today,  Vitra Design Museum, Weil am Rheil 2018
E.Piccardo (a cura), Radical Pipers, plug_in, Busalla 2015
B.Casini, Ribelli nello spazio. Culture underground anni settanta. Lo Space Electronic a Firenze, Zona, Arezzo 2013
C. Rizza, Piper Generation, Lampi di stampa, Milano 2007
T.Trini, Divertimentifici, “Domus”, 458, (1968), p.16
P. Restany, Breve storia dello stile ye-ye, “Domus”, 446, (1967), p.34-40

16.3.21