Emanuele Piccardo intervista Marcelo Ferraz su Lina Bo Bardi

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Emanuele Piccardo: Marcelo Ferraz quando hai incontrato per la prima volta Lina Bo Bardi?

Marcelo Ferraz: Ho conosciuto Lina nell’agosto 1977, ancora studente del quarto anno di architettura presso l’Università di São Paulo. Lina cominciava il lavoro del SESC Pompeia e ha chiesto ad un professore della facoltà che indicasse uno studente per collaborare al progetto. È importante dire che, a quel tempo, Lina era quasi sconosciuta nell’ambiente dell’architettura brasiliana, sia dei giovani architetti, sia degli studenti. Sono andato alla fabbrica Pompeia per incontrarla – ricordo molto bene perché era il giorno del mio compleanno, 29 agosto, in cui compivo 22 anni. Sono rimasto impressionato e affascinato da quella donna forte, decisa, tutta vestita di nero, che gestiva un cantiere con più di cento operai. Iniziavano le demolizioni e il restauro della muratura che sarebbe rimasta. Ho accettato l’invito e ho iniziato a lavorare il giorno successivo, facendo le indagini catastali, dei magazzini, i primi disegni tecnici in scala degli studi che Lina portava a casa e prodotti durante la notte. Due mesi più tardi lei mi chiese di invitare un collega per aiutarci nel lavoro ed io porto il mio grande amico André Vainer. Questa è stata la squadra completa di architettura in nove anni di lavoro del SESC Pompeia: ogni giorno, sviluppando il progetto all’interno dello stesso cantiere edile, seguendo il lavoro degli operai.

EP: Lina lascia l’Italia per il Brasile nel 1946 con suo marito Pietro Maria Bardi. Il primo contatto con il “nuovo” mondo è con Rio poi São Paulo e Bahia. Qual’é stato il ruolo degli intellettuali a Bahia e São Paulo?

MF: Come tu dici, Lina arriva con Bardi a Rio de Janeiro, e li è ricevuta da un importante gruppo di intellettuali e artisti, tra cui Lucio Costa, Niemeyer, Burle Marx, Portinari, Vinícius de Morais e molti altri. È importante ricordare che Bardi era invitato da uno degli uomini più potenti del paese, Assis Chateaubriand, proprietario di un enorme conglomerato di stampa, il nostro “citizen Kane”. Da Rio si trasferiscono a Sao Paulo per creare il Museo d’arte: il MASP. L’ambiente a San Paolo non era dei più ricettivi, ma anche così, la coppia, per l’audacia e la capacità di “muovere le acque” dell’ambiente culturale con la creazione del Museo (1947) in un solo anno, è ospitata dai principali artisti ed intellettuali come Lazar Segall, Gregory Warchawiski ed altri. L’accademia non vedeva la coppia di buon occhio, perché per il collegamento con Chateaubriand e una certa sensazione di xenofobia, vedeva un certo “pericolo”, qualcosa di scomodo. Lina, anni più tardi (1957) tenta di insegnare a FAU USP e si arruola in un concorso che sarà annullato con il chiaro obiettivo di ostacolarla. Questo è uno dei fatti che la costringe ad andare a Bahia (1958), all’inizio per un corso di tre mesi su invito del professore del’Università – Diógenes Rebouças. Una volta a Bahia riceve l’invito del governatore per creare il Museo d’Arte Moderna – MAMB e rimane lì fino al 1964, quando avviene il colpo di stato militare che stabilisce la dittatura che durò vent’anni.  A Bahia Lina convive con gli intellettuali, economisti, artisti e aiuta a formare anche molti intellettuali e artisti come Glauber Rocha, Caetano Veloso, Helio Eichbauer, Rogério Duarte e tanti altri, attraverso la sua attività nella direzione e programmazione del Museo d’Arte Moderna e nella pubblicista come una cronista abbastanza polemica.

EP: Lina ha sempre messo al centro della sua architettura la gente…

MF: Lina ripeteva sempre che vedeva l’architettura come un “servizio – qualcosa che accoglie e aiuta le persone e le comunità nella loro vita quotidiana”. E così è stato per tutta la sua vita professionale. Proiettava sempre mettendo l’uomo al centro del progetto. Non si è mai fatto conquistare dalle questioni professionali come il formalismo, le soluzioni tecnocratiche lontane dalla realtà di ogni luogo/comunità.

EP: L’influenza di Lina è chiara nel tuo lavoro con Francisco Fanucci in Brasil Arquitetura. Qual’é stata la sua influenza sugli architetti brasiliani?

MF: È impossibile essere passati da Lina impunemente. Io di solito gioco dicendo “FAU USP mi ha formato e Lina mi ha deformato”. In questo c’è un nucleo di verità perché voglio dire che la nostra formazione nella facoltà creata da Artigas era un po’ chiusa e perfino settaria. Molto rigorosa – ciò che è buono da un lato, ma restrittiva, dall’altro. Naturalmente, in tempi di dittatura tutto è più difficile perdendo sfumature e diversità in tutta l’area culturale. Con l’architettura non è stato diverso.

Lina non ha formato una scuola dal punto di vista formale e questo si può vedere nella diversità dei suoi progetti, sia nell’uso dei materiali, nelle strutture e, principalmente, nelle concezioni estetiche. Lina crea una sorta di linea di pensiero, una forma di azione politica attraverso l’architettura. Con le armi dell’architettura. E in questo noi siamo stati inclusi, senza dubbio. Penso che Lina crei un collegamento importante tra il movimento moderno e l’attuale architettura brasiliana. Il suo poliedrico lavoro salva i valori che sono stati lasciati da parte dal movimento stesso, soprattutto dopo Brasilia. Sono, principalmente i collegamenti con i luoghi – fisici ed umani – la storia, le tradizioni e le reinvenzioni di queste tradizioni, la cultura. E’ di questo che il mondo ha più bisogno al giorno d’oggi: un’architettura che abbia risonanza nei cuori, che parli una lingua franca con tutti. Ciò che io nel mio libro ho descritto come “Arquitetura Conversável” (Architettura parlabile).

EP: Nel 2014 si celebrano i cento anni dalla nascita di Lina. Qual’é la sua eredità politica e culturale nel Brasile contemporaneo?

MF: Come ho già detto nella risposta precedente, Lina apre molti e nuovi percorsi per giovani architetti e le generazioni future. Soprattutto dopo la crisi del 2008 che ha tolto la maschera di questa architettura show, di questi architetti dello star system, che erano e sono ancora adesso – in questo momento stanno cercando di entrare in Brasile – a servizio degli scopi più perversi per creare icone nocive, prive di significato e estremamente costose pagate a caro prezzo dalle città e dalle comunità che subiscono le conseguenze di un’architettura irresponsabile e inutile. In architettura, la poetica deve camminare insieme al rigore e alla responsabilità sociale. Le sventure urbane sono anche durature. Basta guardare intorno a noi per vedere. Penso che Lina possa essere un buon antidoto.

Intervista realizzata in occasione del numero 04 di archphoto2.0 dedicato a Lina Bo Bardi

La fotografia, che ritrae Lina Bo al quartiere Baia del Re a Milano, è stata realizzata da Federico Patellani e conservata nel Fondo Patellani presso il MUFOCO

Traduzione dal portoghese all’italiano di Helena Coimbra Meneghello