Luca Guido. Urbanistica lady-like e boschi verticali

FRA_8341

“Nutrire il pianeta, energia per la vita” è il tema della prossima Esposizione Universale in programma a Milano per il prossimo maggio. Sostenibilità, cibo, equità, futuro, ambiente sono alcune delle parole chiave del grande evento. Ma gli interrogativi stimolati dal titolo dell’Expo 2015 appaiono ancora più interessanti e delicati se rapportati all’architettura. Dunque come può contribuire un edificio a nutrire il nostro pianeta? Che rapporto vi è tra costruito e mondo naturale? Come può il progetto di architettura accogliere le innovazioni sostenibili e le esigenze spirituali e pratiche dell’uomo contemporaneo? E soprattutto come può la natura interagire con l’istanza estetica che ogni buon progetto architettonico dovrebbe esprimere?

Il grande sito espositivo, che ci si presta ad allestire in un clima di corruttela generale, sembra non suggerire alcuna risposta valida, in particolare sul fronte della pianificazione urbanistica. Il timore che l’area alla periferia di Milano, su cui si stanno costruendo i padiglioni, sia abbandonata al degrado o alla speculazione edilizia alla fine della kermesse, si è fatto estremamente reale dopo che la gara del 15 novembre 2014, finalizzata ad individuare futuri acquirenti e gestori, è andata deserta.

I possibili investitori non hanno infatti ritenuto conveniente la previsione del bando di gara che metteva in vendita un lotto unico, la cui parte edificabile non avrebbe dovuto superare l’enorme cifra di 480.000 metri quadri, lasciando circa l’altra metà dell’area a parco1.

In fondo l’idea di utilizzare un nuovo sito per la costruzione dell’Expo, anziché destinare spazi e strutture già esistenti a Milano, era parsa a molti un pretesto per favorire i proprietari delle aree individuate e incoraggiare la speculazione post-expo. Inoltre si trattava di un’ipotesi espositiva dall’impostazione piuttosto tradizionale. Il coinvolgimento nel masterplan di architetti di fama internazionale come Jacques Herzog, Ricky Burdett e Stefano Boeri, a cui presto ascriveremo il successo o il fallimento delle previsioni urbanistiche, serviva appunto ad imbellettare al meglio l’operazione, come il fondotinta sul viso degli attori.

In attesa che il cantiere prosegua e che si scongiurino gli scenari peggiori, è la recente realizzazione delle due torri residenziali dell’architetto Boeri che offre numerosi spunti di riflessione per inquadrare le politiche culturali e architettoniche milanesi.

Il cosiddetto “bosco verticale” realizzato da Boeri nel quartiere Isola ha avuto un forte impatto mediatico sul pubblico generale ed è oggetto di un ampio dibattito. La posizione di Boeri sui destini dell’area è stata mutevole, vestendo egli stesso svariate casacche: da quella di architetto impegnato nei programmi partecipativi dei comitati di quartiere contro le speculazioni, a quella di progettista della multinazionale dell’edilizia Hines. Tuttavia al di là del comportamento di Boeri, che delinea il suo ruolo di negoziatore tra sollecitazioni opposte, il progetto dà prova di aver introiettato il desiderio di natura tipico di molti contesti abitativi metropolitani.

Le immagini che veicolano la realizzazione sono efficaci e gradevoli, presentando un volume puro dal quale aggettano numerosi terrazzi, collocati a differenti livelli e su cui insistono fioriere e piccole superfici destinate ad arbusti e rampicanti.

Il critico di architettura Luigi Prestinenza Puglisi, affiancato dai suoi amici e collaboratori, sta veicolando sul web l’idea che si tratti di un progetto rivoluzionario, rilanciando il link di un’agenzia pubblicitaria.

Puglisi, impegnato da tempo in una velata promozione dell’operato di Boeri, sostiene infatti che questo progetto milanese dimostri come “architettura e natura possono coesistere alla pari […] è la semplicità della soluzione, la sua banalità che attrae”.

Probabilmente sfugge o si vuole dare per scontata la vera novità: il progetto è supportato da un’abile campagna mediatica, riuscita come mai prima in architettura. Qualsiasi riflessione che alluda alle qualità “naturali” dell’edificio finisce inevitabilmente per confermarne il motto “bosco verticale”. Inoltre lo slogan si rivela adatto a promuovere l’immaginario rappresentato dai due edifici più che la loro realtà. Le due torri con estrema coerenza si propongono come puro marketing, edifici-manifesto di un capitalismo edilizio di lusso che vuole presentarsi con un’immagine svecchiata. Non è la semplicità della soluzione che attrae, ma il fatto di mettere in vendita un desiderio –in quanto tale incomprimibile- piuttosto che evidenziare un bisogno materialmente soddisfabile nell’acquisto di un appartamento, costoso o meno che sia.

L’incapacità di leggere criticamente questi fenomeni, da parte di esperti e del grande pubblico, dimostra la povertà psichica della nostra società, avvezza a imbastire discorsi sulla rappresentazione di idee e comportamenti, senza badare troppo alla loro sostanza.

Un esempio di quanto stiamo affermando ci viene offerto dalla politica. Di recente un esponente del Partito Democratico italiano ha affermato con convinzione che la sua visione politica corrisponde alla formula “lady-like”, alludendo all’impegno femminile nella cura del corpo ma accostando scioccamente l’idea di politica a quella di mero maquillage.

Il filosofo Massimo Cacciari ha commentato l’episodio parlando di “berlusconismo puro” e di “una cultura che non è cultura”2. Ma è chiaro da tempo come gli ideali della rivoluzione culturale degli anni ’60-‘70 si stiano realizzando nel peggior modo possibile. L’idea che qualsiasi cittadino possa occuparsi di politica (democrazia diretta), è supportata dalla presenza di schiere di servi sciocchi sugli scranni delle camere dei bottoni. La deregolamentazione della sessualità si è trasformata nell’esibizione sistematica del corpo delle donne per finalità pubblicitarie. L’avversione ad una cultura libresca e autoritaria nel de-finanziamento della ricerca universitaria. Il superamento dei ruoli di classe nell’oblio delle tradizioni e della storia, sostituite dal vago concetto di identità. Il sogno della fine del lavoro tradizionale si è trasformato in una legislazione che favorisce il precariato. In termini ambientali e architettonici la rivendicazione di una vita a contatto con la natura, tipica della cultura hippie, si è trasfigurata nell’idea di accettare una natura come una politica “lady-like”.

Analizziamo e perciò circoscriviamo.

Da una parte la vicenda Expo. La grande esposizione universale dedicata al tema “nutrire il pianeta” passa per un momento di riflessione globale, ma viene realizzata in una delle città più inquinate d’Italia, consegnando un’ulteriore fetta di territorio all’industria delle costruzioni. Dall’altra il progetto delle torri residenziali di Boeri. Come gli edifici post-moderni davano l’illusione di dialogare con la storia attraverso un utilizzo disinibito di forme e tipi edilizi, il “bosco verticale” sembra instaurare un rapporto con la natura.
Tuttavia gli arbusti non rivoluzionano affatto l’edificio che li supporta, né il progetto ripensa radicalmente il concetto di abitazione collettiva (come potrebbe farlo un edificio che è un prodotto ed espressione dell’economia di mercato?)

Il post-moderno non passa più attraverso l’iconicità delle forme, ma attraverso la possibilità di trasformare l’edificio in una reclame senza utilizzare luci o tabelloni. Il tutto si riduce ad un’esposizione di trofei, siano essi di caccia, artistici o naturali. Le piante sono sui terrazzi e l’appartamento è dietro un volume scatolare. Dove starebbe l’innovazione in questo modo di concepire il progetto di architettura?

Purtroppo l’inadeguatezza della critica pronta ad incensare tali operazioni è mostrata anche dall’utilizzazione inconsapevole del motto del progetto come se ne fosse semplicemente il titolo, perdendo di vista il significato semantico della parola bosco. Un bosco, al di là di qualsiasi definizione legale, è un insieme articolato di flora e fauna, un mondo fatto di atmosfere e modi d’uso irriproducibili in una metropoli. Soprattutto il bosco ha un’estensione territoriale e una fruibilità pubblica che non hanno i balconi privati di un’abitazione. Parlare di questo edificio come di bosco non significa argomentare un discorso, ma veicolare un messaggio pubblicitario. In fondo anche il valore urbanistico delle torri di Boeri appare a minima reazione. Nessun saldo legame tra progetto paesaggistico del quartiere Isola e le fioriere pensili di Boeri. Provate ad immaginare che questi edifici possano essere presi a modello per un nuovo quartiere urbano. Senza dubbio ci troveremo di fronte a delle palazzine più piacevoli alla vista, ma anche ad un’idea di città e di architettura molto tradizionale.

[Luca Guido]

25.11.14

La fotografia è tratta da http://www.milanopanoramica.com/