Emanuele Piccardo. Absorbing Modernity: Italia non pervenuta

 

imageUno dei temi proposti da Koolhaas consiste nel rileggere cento anni di architettura, dal 1914 al 2014, con il titolo Absorbing Modernity. Ogni padiglione nazionale per la prima volta si é dovuto adeguare alle indicazioni del direttore della Biennale, evitando una libera interpetazione del tema. Ovviamente i paesi che dal punto di vista storico ne sono usciti rafforzati non sempre rappresentano quelli economicamente più forti, tra questi non spicca certo la Germania che, per la seconda Biennale consecutiva, delude con la ricostruzione di una residenza istituzionale di un cancelliere, al pari della pop Gran Bretagna che propone un omaggio a Kubrick in un disordinato affastellamento di materiali eterogenei, tra cui viene inserito anche Reyner Banham e le sue quattro ecologie losangelene, insieme agli Smithson del Golden Lane project (1952). La Francia, invece, affidando la direzione allo storico dell’architettura lecorbuseriano, Jean Louis Cohen, affronta il tema della “modernita’ promessa o minaccia?…A partire dal 1914 la Francia ha assorbito meno modernita’ di quanta ne abbia prodotta…molto delle aspettative nate da importanti esperimenti e da discorsi d’effetto sono rimaste irrealizzate”. Cosi’ lo spettatore viene condotto in quattro ambienti “Jacques Tati e Villa Arpel: oggetto del desiderio o di ridicolo?”, “Jean Prouve’: immaginazione costruttiva o utopia?”, “Pannelli pesanti: economie di scala o monotonia?”, “Grandi complessi: una cura per l’eteretopia o luoghi di solitudine?”. Cohen ci mette in guardia dalle contraddizioni del moderno e sui nervi scoperti come l’uso dei pannelli di calcestruzzo ideati dall’ingegnere Camus usati nell’edilizia del dopoguerra, ma allo stesso tempo mostra in una sequenza efficace i pannelli realizzati da Jean Prouvé per i suoi edifici. Al pari della Francia l’altro paese che raccoglie consenso é il Brasile che racconta la sua modernità con vari fuoriclasse da Lina Bo Bardi a Vilanova Artigas, da Lucio Costa a Oscar Niemeyer fino ai contemporanei come Angelo Bucci.

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Gli Stati Uniti, sotto la direzione dello Storefront e di Eva Franch, compiono una scansione del centenario di architetture realizzate da studi americani all’estero a dimostrazione della potenza e dell’influenza globale della tecnologia made in USA. Questo archivio, The Repository, in maniera ordinata cronologicamente evidenzia modalita’ di progettazione di architetti che hanno trasformato la professione unicamente in business come nel caso dei Som. Non e’ casuale che cinque dei maggiori studi di architettura al mondo abbiano sede in America. Quello che ne consegue e’ un’architettura professionale e muscolare tra ambasciate e sedi di societa’, un secondo spazio e’ dedicato a The Office, un vero e proprio studio che rielabora i progetti presentati.

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La vera sorpresa é l’Italia. Il padiglione curato dal progettista Cino Zucchi sorprende per non aver trattato nella sua interezza il rapporto tra il nostro Paese e la modernità, rifugiandosi nel porto sicuro di Milano e dei suoi amati Caccia Dominioni, Asnago e Vender e pochi altri come il Terragni milanese. Zucchi ha evitato di trattare il tema della modernità sapendo che fuori da Milano non avrebbe avuto quella conoscenza approfondita tale da giustificare le selezioni delle architetture. Un paese come l’Italia che ha scritto pagine eroiche di architettura moderna rinuncia a rilanciare il tema proposto da Koolhaas. Eppure riusciamo a farci superare anche dall’Egitto che propone una serie di architetture moderniste che non hanno certo la qualità dei vari Figini e Pollini, Gardella, Michelucci, Terragni, Libera, Moretti, Zanuso, Magistretti, Ponti. Nella sezione Innesti, dedicata agli innesti urbani di nuove architetture, Zucchi presenta ottantacinque architetture di vari architetti, con progetti imbarazzanti, senza un tema e nessuna scelta se non quella di accumulare progetti rappresentati con una sola immagine retroilluminata.

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Il padiglione italiano rappresenta bene la mediocrità di un paese, sia sul piano politico che professionale-disciplinare, dove una facciata vetrata traslucida alla Moneo o un serramento scorrevole rappresenta un’ eccezione, diversamente da quanto accade in Europa dove sono altri i caratteri che determinano l’interesse verso un’architettura. Oggi l’architettura italiana rincorre il resto del mondo dimenticandosi che un tempo, non troppo lontano, era avanguardia.

[Emanuele Piccardo]

Venezia 6.6.14