Giacomo Fronzi. John Cage

«Sto imparando gradualmente a prendermi cura di me stesso. C’è voluto tanto tempo. Ho l’impressione che quando morirò sarò in perfetta forma». Sembrerebbe quasi una battuta alla Groucho Marx, pronunciata da un personaggio senz’altro ironico e brillante, ma che poco ci dice sulla sua paternità. Proviamo con quest’altra: «Non ho tempo libero. Non è che io sgobbi. Mi piace il mio lavoro. Niente mi diverte di più. È questo il motivo per cui lo faccio. Perciò non ho necessità di divertimento». Anche in questo caso, cosa si potrebbe dire, se non che si tratta di una considerazione tipica di qualcuno che ama il proprio lavoro e che poco si dedica ad altro (vedremo che, invece, non è stato esattamente così per il nostro protagonista)? Ancora un’altra. Lui, al pianoforte, impegnato a creare: «Andai in cucina e presi un piatto per torte e lo misi insieme a un libro sulle corde e capii che stavo procedendo nella giusta direzione. L’unico problema con il piatto era che rimbalzava. Così presi un chiodo, lo infilai tra le corde [del pianoforte, ndr] e il problema fu che scivolava. Mi venne allora in mente di inserire una vite di legno tra le corde e fu proprio la cosa giusta. Poi utilizzai guarnizioni di gomma e così via. Piccoli dadi intorno alle viti e questo genere di cose». Ora gli elementi sono sufficienti per capire di chi stiamo parlando: John Cage, compositore, “inventore”, artista, scrittore, micologo, amante degli scacchi, dell’I-Ching e della filosofia orientale, nonché lettore appassionato e anarchico per vocazione.

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Si torna sempre molto volentieri a parlare di Cage, non solo perché nel 2012 sono stati celebrati i cento anni dalla nascita e i venti dalla morte, né solo per la mole poco comune di argomenti che può chiamare in causa: musica, arti figurative, danza, filosofia, letteratura, politica, società. C’è anche un altro motivo: di lui non ci si stanca mai di parlare. Già solo l’idea di pensarci, di riflettere nuovamente sulla sua figura e sulla sua portata (magari guardando il suo volto sorridente e conciliante ritratto in tante fotografie) significa rituffarsi nella vertigine delle rivoluzioni culturali statunitensi ed europee che hanno reso il xx secolo una stagione sconvolgente come poche altre nella storia umana.

John Milton Cage jr. nasce a Los Angeles il 5 settembre del 1912, da John Milton Cage sr., inventore, e Lucretia “Crete” Harvey, giornalista. Forse è per questo che John dimostrerà una particolare predilezione per l’invenzione e per la scrittura: gli scorrevano letteralmente nelle vene. I primi approcci con il pianoforte li avrà con la zia Phoebe e con Fannie Charles Dillon. Intanto studia alla High School di Los Angeles, che concluderà brillantemente nel 1928. Dopo due anni trascorsi al Pomona College (a Claremont, in California), John non resiste alla forza attrattiva dell’Europa. È lì che si sposta, per quasi due anni, girovagando per quanto possibile e occupandosi di composizione, architettura e pittura.

Anni Trenta. Il ritorno a Los Angeles, nel ’31, non sarà piacevole. La crisi del ’29 e la successiva Grande depressione portano John a fare un po’ di tutto: cuoco di piatti esotici, giardiniere in un motel di Santa Monica, docente di storia dell’arte e musica contemporanea per casalinghe, lavapiatti. Ma inizia anche a guadagnare qualcosa scrivendo musica per la danza. Nei primi anni Trenta studia con Richard Buhling, Adolph Weiss e Henry Cowell. Mentre vive queste esperienze formative, John matura un certo interesse anche per Arnold Schönberg, che allora insegnava alla South California University. Cage ci si vorrebbe iscrivere, proprio per lui, ma non ha i soldi per farlo. Inaspettatamente, il maestro austriaco accetta di impartirgli lezioni gratuite, ma chiede a John di promettergli di dedicare la propria vita alla musica. Così accade. Cage venera Schönberg «come un dio», peccato che quel «dio» non sembra apprezzare del tutto la creatività cageana, decisamente troppo poco “rigorosa” rispetto alla sua quadratura. Le conseguenze di questa divergenza originaria non potevano che portare alla rottura tra i due compositori. Intanto, oltre all’amore per la musica, Cage coltiva anche l’amore per una giovane donna di Juneau, in Alaska. È Xenia Andreevna Kashevaroff, scultrice e artista di collage, con la quale Cage si sposa alle cinque del mattino del 7 giugno del 1935, nel deserto, a Yuma, in Arizona. Intanto, nella seconda metà degli anni Trenta, Cage continua la sua attività poliedrica: fa l’assistente al cineasta Oskar Fischinger, entra in un gruppo di danza moderna alla University of California di Los Angeles (ucla) – come accompagnatore e compositore – e, sollecitato da Cowell, prende contatti con il compositore Lou Harrison, interessato quanto lui alla musica ritmica e percussiva. Questa passione porterà Cage ad addentrarsi in un altro mondo dell’arte. Grazie a Harrison, Cage ottiene un lavoro come accompagnatore di danza presso il Mills Collage e, successivamente, alla Cornish School di Seattle dove insegna, compone e accompagna.

Anni Quaranta. Seattle. Anche questo luogo si rivela teatro di alcune importanti esperienze esistenziali e professionali. Qui John e Xenia rimangono due anni, durante i quali il compositore svolgerà un intenso lavoro sulla musica percussiva e sulla danza, insieme ad artisti come Mark Tobey, Morris Graves o Laszlo Moholy-Nagy, ma anche con danzatori e coreografi come Bonnie Bird, Syvilla Fort e, soprattutto, Merce Cunningham. Alla Cornish School di Seattle, poi, Cage – che era stato incaricato di realizzare la musica per balletto Bacchanale della Fort – concepisce una delle sue idee più rivoluzionarie: il pianoforte preparato, vale a dire un normale pianoforte tra le cui corde vengono inseriti gli oggetti più vari, spesso metallici (viti, chiodi, ecc.).

Dopo aver insegnato Musica sperimentale al Chicago Institute of Design, John e Xenia si trasferiscono a New York, ospiti – inizialmente – di Peggy Guggenheim. La “Big apple” sarà un luogo di grandi incontri per Cage, soprattutto negli ambienti dell’avanguardia (Marcel Duchamp, Piet Mondrian, André Breton, Salvador Dalì, Robert Rauschenberg, Jackson Pollock), nei quali il suo nome troverà subito spazio. È qui che avviene anche uno degli incontri più importanti nella vita di John, quello con Merce Cunningham. A dire il vero si erano già conosciuti a Seattle, ma è a New York che si ritrovano, iniziando un rapporto d’affetto e di collaborazione artistica tra i più lunghi e proficui nella storia delle arti del Novecento. Nel 1945 John divorzia da Xenia, trasferendosi a Lower East Side, nella regione di New York, dove si avvicina ad alcune passioni che lo accompagneranno per tutta la vita e che avranno un peso rilevante nella sua poetica e nella sua pratica compositiva. Inizia, infatti, ad approfondire la conoscenza della musica e della filosofia indiane con Gita Sarabai, ma anche a frequentare (cosa che farà per due anni) corsi di buddismo zen tenuti da Daisetz T. Suzuki presso la Columbia University. Nell’estate del 1948 accade uno di quei fatti che contribuiranno a renderlo noto a livello planetario (sebbene non nell’immediato). Cage si trova al Black Mountain College (luogo in cui si respirava un’aria non convenzionale e tendenzialmente aperta), dove nell’incredulità generale organizza un “Erik Satie Festival”, durante il quale, come se non bastasse, tiene la conferenza «In difesa di Satie», espressamente polemica nei confronti di Beethoven.

Anni Cinquanta. Nel 1950 avviene un altro degli incontri che segneranno la vita e la carriera di Cage, quello con il pianista David Tudor, un musicista di grande valore, con il quale John avvierà una lunga collaborazione. A Tudor si aggiungono Morton Feldman, Earle Brown e Christian Wolff (che l’anno seguente gli farà conoscere l’I Ching, il Libro dei mutamenti, che Cage utilizzerà sempre, a partire da Music of Changes). Con loro, Cage costituirà la cosiddetta “New York School”. Il 1952 è un anno di grazia nella biografia di Cage, durante il quale avvengono almeno tre fatti decisivi. Il primo: John compone Williams Mix e Imaginary Landscape V, i suoi primi lavori su nastro magnetico (ma anche i primi realizzati negli Stati Uniti). Il secondo: insieme a Cunningham, Rauschenberg, Charles Olsen e Mary Caroline, John organizza, nuovamente al Black Mountain College, Untitled Event, che passerà alla storia come il primo happening mai realizzato. Il terzo: il 29 agosto, a Woodstock (luogo evidentemente votato alle rivoluzioni), durante un concerto, David Tudor entra in sala, si siede al pianoforte con un cronometro a portata di mano, chiude e riapre il coperchio della tastiera e resta immobile per quattro minuti e trentatré secondi. Nasce 4’33” e la musica diventa silenzio, mentre il silenzio diventa vita del mondo, una vita fatta di rumori, crepiti, sospiri, bisbigli.

Il 1955 è l’anno in cui finalmente il Vecchio Continente riconosce a Cage, alle sue idee e alla sua ricerca sperimentale un rilievo notevolissimo negli sviluppi della musica contemporanea. Grazie a una tournée che lo vedrà spostarsi, con Tudor, tra Londra e Milano, Bruxelles e Donaueschingen, Parigi e Colonia, Stoccolma e Zurigo, Cage raccoglie consensi, vede aumentare notevolmente l’eco dei suoi lavori, così come anche la loro influenza sui compositori europei, in particolare su Karlheinz Stockhausen.

Dopo un periodo trascorso a insegnare alla New School for Social Research di New York, nell’estate del ’58 John è nuovamente in Europa, per concerti e conferenze, ma anche per partecipare – in qualità di micologo… – al programma televisivo italiano «Lascia o raddoppia», condotto da Mike Bongiorno, per ben cinque puntate (all’inizio del 1959), nelle quali presenta anche le sue opere Amores, Water Walk e Sound of Venice. Al ritorno a New York le sue tasche peseranno due milioni e mezzo di lire in più (non cinque milioni, come spesso si è scritto, perché Cage decise di non raddoppiare). Tra l’altro – nota di colore – John festeggerà la vittoria la sera di giovedì 26 febbraio in una squallida e fumosa sala biliardo di un bar in Corso Sempione, a Milano, insieme a Umberto Eco, Luciano Berio, Bruno Maderna, Marino Zuccheri, Cathy Berberian, Roberto Leydi e Peggy Guggenheim.

Anni Sessanta. Nel 1960, John realizza Cartridge Music e l’anno seguente, oltre che pubblicare la sua famosissima raccolta di scritti Silence: Lectures and Writings, inizia a comporre un’importante opera per grande orchestra, Atlas Eclipticalis. Tre anni dopo, John organizza un altro evento divenuto mitico: la prima esecuzione assoluta di Vexations di Satie, presso il Pocket Theatre di New York. Il risultato? Diciotto ore e quaranta minuti di musica, per via degli 840 “da capo” previsti dal compositore. Ma le pubbliche e bizzarre vicende che avranno al loro centro John e la sua musica non finiscono certo qui. 1964. La New York Philharmonic Orchestra, diretta da Leonard Bernstein, viene incaricata di eseguire Atlas Eclipticalis, ma il concerto del 6 febbraio sarà un autentico disastro. I circa settanta maestri d’orchestra avrebbero dovuto eseguire un pezzo di Cage per otto minuti. Molti di loro iniziano invece a improvvisare liberamente, a calpestare i microfoni, a eseguire altra musica, a parlare o semplicemente restano seduti sul palco senza suonare. Un terzo degli spettatori esce dalla sala e dal giorno successivo sarà tutto un rincorrersi di recensioni tutt’altro che generose. La seconda metà degli anni Sessanta sarà poi segnata dall’uscita della sua seconda raccolta di scritti, A Year from Monday, ma anche dalla composizione e realizzazione di altri innovativi lavori, come Musicircus, Reunion o HPSCHD.

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Il treno di Cage, Bologna-Porretta Terme, 1978, collezione Emanuele Piccardo

Anni Settanta-Novanta. Tra l’inizio degli anni Settanta e l’inizio degli anni Novanta è un susseguirsi frenetico di creazioni, realizzazioni, concerti, conferenze e pubblicazioni. Dagli Etudes Australes (1974) ai Freeman Etudes (1977, ma completati nel 1989) a Inlets (1977). E ci sarà ancora spazio anche per l’Italia. Nel 1978, John è in Emilia Romagna, dove realizza l’evento Alla ricerca del silenzio perduto: tre escursioni per treno preparato. Negli anni successivi, John continuerà a comporre e a scrivere (nel 1983 esce X, quarta raccolta di scritti, a distanza di dieci anni dalla raccolta M) fino all’inizio degli anni Novanta, fino all’ultimo minuto che la vita gli ha concesso, fedele in questo a una particolare etica del lavoro che l’ha sempre accompagnato.

Intorno alle sei di sera dell’11 agosto 1992, Merce ritorna al loft dove viveva con John, dopo aver trascorso la giornata di lavoro nello studio della sua Merce Cunningham Dance Company. Apre la porta di casa, entra in cucina e disteso sul pavimento vi trova John, esanime. Colpito da un ictus, viene trasportato in ambulanza al vicino St. Vincent Hospital, dove muore alle 14:40 del 12 agosto, circa tre settimane prima del suo ottantesimo compleanno. Il corpo di John è stato cremato e le sue ceneri sono state sparse a Stony Point, proprio come era accaduto per sua madre Lucretia.

[Silenzio] La musica è ciò che rompe il silenzio, si direbbe. Peccato che il silenzio, in realtà, non esista. Questo ci dice John Cage. Ci dice che il silenzio non è ciò che apparentemente resta nel momento in cui voce o musica si arrestano, ma ciò che rende possibile il manifestarsi di rumori, fremiti, pulsazioni che emergono nell’assenza, nel vuoto apparente. Questo silenzio è attivo, affermativo, ci siamo immersi già da sempre ma senza averne coscienza, è un cambiamento della mente, è l’accettazione dei suoni che esistono e non il desiderio di scegliere e imporre la propria musica. Il celebre “pezzo silenzioso” (4’33”) è davvero un’autentica rivoluzione della concezione e della pratica musicali, è la definitiva attestazione dell’impossibilità di procedere nel solco della tradizione, è la spaesante manifestazione della necessità di sfondare i recinti angusti del vecchio territorio della musica, è qualcosa che va ben al di là del proprio status di opera musicale o di opera d’arte, è – come ha detto Cage – «la rinuncia a qualsiasi intenzione».

[Indeterminazione] L’indeterminazione, allora, è forse la più audace sfida lanciata da Cage alla tradizione musicale europea. Per il compositore statunitense si tratta di individuare una serie di tecniche sperimentali (di cui non si conosce il risultato finale) con le quali raggiungere un obiettivo: trasformare l’opera del compositore da oggetto fisso e immodificabile in processo dinamico e mutevole, basato sull’auto-determinazione dell’interpretazione dell’esecutore. C’è chi lo ha accusato di aver optato per procedimenti compositivi che hanno decretato la morte dell’intenzionalità, della soggettività. Una sorta di auto-sacrificio finale, analogo a quello compiuto dal soggetto che, nella società tardo-capitalistica, rinuncia alle proprie istanze, soccombendo passivamente alle logiche ferree e immodificabili del sistema. La verità è che John Cage, pur utilizzando operazioni casuali nella sua attività, non ha mai rinunciato a una rigorosa ragione compositiva.

[Società] E difatti Cage non aspirava affatto all’auto-annientamento, ma al raggiungimento di una libertà creativa ed esistenziale che si potesse estendere dal pensiero più astratto alla realizzazione più concreta. Questa libertà non va disgiunta dal desiderio di vivere un’esistenza consapevole, attiva, intesa come premessa per la trasformazione dello status quo, per la realizzazione di una nuova alleanza tra gli uomini e tra gli uomini e il mondo. Una nuova alleanza costruita intorno a concetti come «società», «umanità», «ecologia». Come ha rilevato Natalie Crohn Schmitt, per Cage l’arte non è semplicemente qualcosa che si fa, un’operazione tecnico-manuale. È, invece, un mezzo essenziale per cambiare la percezione che le persone hanno del loro posto nel mondo, uno strumento fondamentale per contribuire al cambiamento della società. Non stiamo parlando dell’idea brechtiana dell’artista engagé, ma di quella cageana dell’artista interessato agli scopi sociali della musica, più che a quelli politici. L’artista non deve combattere contro le strutture sociali esistenti, ma deve realizzare opere che, nella loro costruzione, possano fornire modelli positivi per l’attività umana, strutturandosi, prima di tutto, in termini non-gerarchici e comunitari.

[Giacomo Fronzi]

Articolo pubblicato in “Alias”, supplemento culturale de “il manifesto”, sabato 31 agosto 2013, anno 16 n. 34, pp. 12-13