Emanuele Piccardo. Il potere del vuoto

Fotografia tratta da Vatican News

Il colonnato del Bernini idealmente abbraccia il mondo, la pioggia e il silenzio scandiscono il ritmo dell’evento solenne, mistico, apocalittico in cui l’attore protagonista è il Papa, solo, che prega Dio affinché fermi la pandemia. Ma il rituale non è quello convenzionale. Non ci sono cardinali, preti, chierichetti a proteggerlo. Un gesto che dimostra la solitudine politica del pontefice al di là delle misure preventive anti contagio e contemporaneamente la sua precisa volontà di leader che si mette in discussione, solo a fronteggiare il “male”. La sceneggiatura prevede Francesco al centro della piazza protetto da una tettoia banale all’interno di un contesto iperprogettato, denso di storia. La figura del Papa riempie il vuoto della piazza attraverso il suo vestito bianco, le sue parole ferme, a tratti drammatiche, riempiono il silenzio:
“Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi. Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti. Come i discepoli del Vangelo siamo stati presi alla sprovvista da una tempesta inaspettata e furiosa […] così anche noi ci siamo accorti che non possiamo andare avanti ciascuno per conto suo, ma solo insieme”. Una invocazione al sentirsi comunità che però non appartiene agli italiani, perlomeno non a tutti. Non bastano i cori dai balconi, rappresentazione di una sclerosi collettiva, per definire il senso di appartenenza ad una nazione fondata, teoricamente, su principi democratici e di uguaglianza.


Woostock, 1969

In questi giorni le immagini dalle webcam delle città contaminate dal virus inquadrano piazze vuote definendo il mutamento in atto nella iconografia dello spazio pubblico, soprattutto nei  luoghi simbolo dell’immaginario collettivo: da Times Square a San Pietro. D’altronde la forza dell’immagine ha sempre definito gli eventi della storia: dalla pittura alla fotografia, dal cinema alla diretta in televisione e oggi via Facebook e Instagram. Fin dalla sua invenzione, nel 1839, la fotografia ha testimoniato le grandi trasformazioni sociali con le fotografie dei pionieri americani, William Henry Jackson, Timothy O’Sullivan, Carleton Watkins, Edward S.Curtis, nel documentare la conquista dell’Ovest e il massacro dei nativi, mentre in Europa i fotografi documentavano le modificazioni dei paesaggi con la costruzione di porti, stazioni, ponti e linee ferroviarie. La diffusione della fotografia di reportage, durante le guerre e in tempo di pace, ha contribuito a restituire una dimensione sociale dei grandi eventi pubblici come il Free Speech Mouvement (1964) all’Università di Berkeley, il cui protagonista assoluto è lo studente di origini italiane Mario Savio. E ancora il concerto di Woodstock (1969) in cui 400.000 giovani partecipano all’incontro con la musica degli Who, Joan Baetz, Carlos Santana, Janis Joplin, Joe Cocker, Jimi Hendrix…Dopo la fotografia il cinema racconterà il futuro delle metropoli e della specie umana: da Blade Runner a Dune, da Day After Tomorrow agli Avengers, una ricca filmografia nella quale viene eletta la figura del supereroe come salvatore del mondo.

I funerali di Berlinguer, Roma,13 giugno 1984

La piazza per l’Europa, per l’Italia in particolare, e la strada per l’America sono i luoghi della socialità, oggi messi in crisi dalla pandemia che, dopo l’emergenza, non verranno vissuti come prima. La piazza italiana è lo spazio di rappresentazione delle istanze politiche, dove si organizzano i comizi dei partiti fino agli anni ottanta, come accade con il Partito Comunista e le sue Feste dell’Unità, il cui obiettivo è la grande partecipazione dei militanti. Partecipazione che raggiunge il culmine con i funerali di Enrico Berlinguer il 13 giugno 1984. Questi luoghi di espressione e di dibattito politico pubblico oggi sono scomparsi. Sono altri i luoghi e le motivazioni che spingono cittadini di ogni età ad occupare lo spazio pubblico. Così si è passati dalla politica alla musica con gli spazi pubblici occupati per i concerti. E’ avvenuto nel 2005 all’aeroporto di Reggio Emilia con il concerto Campovolo di Ligabue e nel 2019 nelle spiagge italiane con il Jova Beach party, densa della finta retorica ecologista. Nonostante tutto la piazza rimane ancora quel luogo dove vanno in scena le rappresentazioni di stampo novecentesco come gli scioperi, le lotte contro le disuguaglianze, ma la cui efficacia, al di là della retorica e della restituzione mediatica, non è così scontata. Il cambio del paradigma mediatico avviene con l’istituzione della prima zona rossa italiana durante il G8 di Genova nel luglio 2001. In diretta le emittenti genovesi Telecittà e Primocanale trasmettono i soprusi delle forze di polizia che determinano la morte del giovane Carlo Giuliani e il pestaggio alla Scuola Diaz. A Genova per la prima volta in Italia viene istituita la “zona rossa” (seguiranno altre zone rosse per terremoti, alluvioni e il recente crollo del viadotto sul Polcevera), una segregazione degli abitanti del centro storico, attuata con l’installazione di portali in ferro, che sospende di fatto la libera circolazione dei cittadini come recita la nostra Costituzione all’art.16:
“Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche”. In quel contesto migliaia di persone vengono fotografate, riprese, monitorate da polizia e media, impegnati, questi ultimi, in un rincorrersi frenetico di scoop seguendo i vari protagonisti, dall’atleta-poliziotto a Don Gallo. Migliaia di persone attraversano la città per marciare a favore dei migranti ma l’iconografia rimane quella degli scontri tra forze dell’ordine e cittadini inermi ma armati di parole nelle strade e nelle piazze genovesi. Cambiano città e continente, ma la rappresentazione mediatica è sempre la stessa quando a New York assistiamo ad un altro tragico evento live trasmesso dalla CNN: l’attacco terroristico al World Trade Center, simbolo del potere economico di New York, ad opera di Al Qaeda.

Fotografia tratta da Vatican News

Ieri sera l’immagine di piazza San Pietro vuota con al centro la figura del Papa contrasta con l’immagine dello stesso luogo denso di credenti durante le benedizioni domenicali. Una scelta potente del gesuita Bergoglio che ridà una nuova centralità alla piazza barocca, ribadendo la forza dell’erede di Pietro. Un atto che il teologo Ratzinger non avrebbe mai fatto e che supera nella performance comunicativa Papa Giovanni Paolo II.

[Emanuele Piccardo]