Emanuele Piccardo. La nostra fragilità contro la natura

rapallo1

Questa volta non possiamo indicare nell’altro l’assassino colpevole dei disastri. Siamo noi, con i nostri atteggiamenti arroganti che consentiamo alla natura di colpirci con forza come avvenuto lungo tutto l’arco del mar Ligure, la mia terra, con danni ovunque. Il mare, novello paesaggista, ha ridisegnato il profilo della costa e noi impotenti a ripararci nelle nostre inadeguate case che, nonostante siano frutto di speculazioni edilizie negli anni del boom economico,senza nessuna qualità architettonica, si reggono ancora in piedi.

Sono quasi dieci anni che vivo in “riviera”, cambiando il mio status da turista a residente guardando ai luoghi con un occhio diverso, vivendo sulla mia pelle i benefici e le problematiche. La tempesta perfetta che si é scatenata sul golfo del Tigullio, a Portofino, Santa Margherita e Rapallo, costituisce la rappresentazione paradigmatica dei cambiamenti climatici a cui nessuno, politici ecittadini, rivolge attenzione e rimedi efficaci. In ogni catastrofe le istituzioni promettono che non sarà più come prima, mentendo solo per trovare consenso nelle comunità colpite. La Liguria sembra essere entrata in un vortice senza fine di catastrofi generate dall’uomo, da ponente a levante.Quali sono le domande che dobbiamo farci? Abbiamo pianificato nel modo corretto? Possiamo ripensare, partendo da un evento tragico, il nostro modello di sviluppo?Quali strumenti abbiamo per contrastare la natura?

rapallo

Le lacerazioni nel territorio ligure stretto tra il mare e le colline sono profonde e partono da lontano, dall’abbandono della terra da parte dei contadini, dall’incuria dei muretti a secco che generarono nel 2011 il disastro alle Cinque Terre, dalle opere infrastrutturali che coprono e deviano rii e torrenti.

L’immagine iconica delle barche a vela e dei cabinati lussuosi scaraventati sulla passeggiata di Rapallo sono la metafora del nostro rapporto arrogante con la natura che non fa differenza di classe colpisce chiunque, il ricco e il povero. La natura la pieghiamo ai nostri interessi, non la curiamo, ma lei si ribella con tutta la sua forza dirompente. Allora dobbiamo fermarci per riflettere e capire come agire nel medio e lungo periodo, per noi e per le generazioni future. Ma come possiamo parlare di futuro in una terra, la Liguria, abitata da gente anziana resistente al nuovo? Dobbiamo ripartire da un nuovo modo di pianificare e legiferare in materia di piani della costa evitando opere inutili che poi determinano più effetti negativi che positivi, a partire dai porticcioli turistici.

C’è una analogia tra il crollo del viadotto sul Polcevera e il crollo della diga foranea di Rapallo, sono opere pubbliche che non devono crollare mai perché rappresentative dello Stato. Ogni catastrofe mette in discussione il significato di Stato. Uno Stato che non sa prevedere e programmare in anticipo le conseguenze dei cambiamenti climatici. Ora é il momento di agire, fuori dalle logiche clientelari, comprendendo che la salvaguardia del territorio (che non vuol dire assumere un atteggiamento conservatore e reazionario come fanno Italia Nostra o Legambiente) porta benefici sociali ed economici. Occorre attuare un nuovo modello economico basato sul “fondamento umanistico e insieme ecologico-scrive l’economista Luigi Fusco Girard-come reazione alla serie di crisi ambientali, economiche e sociali dell’ultimo decennio[…]”.Questo cambio di paradigma impone l’elaborazione di strategie sul piano scientifico per elaborare una serie di azioni da mettere in atto per salvaguardare i borghi lungo le coste italiane e questo lo possono fare le Regioni insieme ai comuni e le Università. Solo con la competenza si possono adottare soluzioni che salvaguardino le comunità ma bisogna ripartire dall’idea di sviluppo. La catastrofe ci obbliga a riflettere come cittadini e amministratori pubblici consapevoli delle nostre decisioni e abitudini, affinché si inverta la deriva ambientale che nel giro di un decennio ha trasformato il clima in un mostro che porta morte e distruzione come se vivessimo dentro a una sceneggiatura di Roland Emmerich.

[Emanuele Piccardo]

31.10.18