Emanuele Piccardo. Genova ha bisogno di bellezza con il nuovo ponte

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Il crollo della modernità, che ha coinciso con la tragedia del viadotto sul Polcevera, ha messo a nudo le fragilità di una città e di una regione nel rapporto con le infrastrutture. Se l’opera di Morandi ha proiettato Genova nel futuro, anche il nuovo ponte deve ambire allo stesso obiettivo. Senza ipocrisia e senza quella irrazionalità che ha contraddistinto i primi atti politici, evitando di agire in emergenza che determina la deroga, come per i terremoti, a tutte le leggi urbanistiche vigenti. Tutti noi abbiamo il diritto di avere un nuovo ponte: efficace, sicuro, ineccepibile tecnicamente, con costi equilibrati e bello. Sembra che i cittadini non abbiano più la necessità e la capacità di sognare una città radiosa, ricca di vita e di speranza nel futuro. La città si merita bellezza, nonostante quel rumore di fondo di una politica senza idee, incapace a immaginare il futuro, come ha dimostrato più volte nell’ultimo ventennio, e che preferisce affidarsi all’ottuagenario Renzo Piano, piuttosto che aprirsi al dibattito e coinvolgere quelle migliaia di giovani ingegneri e architetti disponibili a rivoluzionare, con le loro idee, Genova. Morandi aveva realizzato un’opera di avanguardia che non é stata curata con le giuste terapie, creando una separazione molto forte tra opere d’arte meritevoli di restauri, come il Cenacolo di Leonardo o il Colosseo, e opere che sono state abbandonate come gran parte delle architetture moderne italiane, comprese le infrastrutture di Morandi, Nervi e Zorzi. Si, perché per troppo tempo le opere degli architetti e degli ingegneri, simbolo del progresso tecnologico nazionale, sono state elette dalle comunità unicamente come espressione di cementificazione e speculazione. Ma la vera speculazione é stata quella culturale nel denigrare il ponte progettato da Morandi, nel formare commissioni di “esperti” evitando il coinvolgimento dei migliori ingegneri italiani ed europei: da Gabriele Del Mese a Francesco Sylos Labini, da Ove Arup a Buro Happold.
Infine la gestione del post crollo non può essere lasciata unicamente nelle mani del commissario Toti e di Autostrade ma deve essere condivisa e partecipata dalla città. A partire dalla proposta di ricostruire il ponte in soli otto mesi che pare essere poco veritiera se confrontata con i tempi di realizzazione del ponte di Millau. Strallato con piloni in cemento e impalcato di acciaio, lungo due chilometri e alto più di duecento metri, realizzato dal 2001 al 2004, su progetto di Norman Foster e Michel Virgoleux, ma esito di un concorso pubblico. Un processo lento, tra scelta del tracciato e realizzazione, che ha determinato la costruzione di un’opera considerata patrimonio della collettività e che ha contribuito a costruire un nuovo paesaggio, attitudini che anche il nuovo viadotto sul Polcevera dovrà avere. Il concorso, che per molti stati europei rappresenta la normalità, non lo é per l’Italia, salvo rari casi come le stazioni dell’alta velocità. Infatti appare paradossale che Autostrade progetti il nuovo ponte con i suoi uffici interni, senza attivare un dibattito che può avvenire solo attraverso un concorso internazionale di progettazione, il cui scopo é il confronto di idee diverse. Uno strumento quello del concorso necessario a costruire un nuovo immaginario ai genovesi, così come lo era quel ponte volante che disegnava il paesaggio, oggi diventato simbolo di incuria e morte ma che nel 1967 fu simbolo di speranza.

[Emanuele Piccardo]

27.8.18