Luca Guido. La lezione di Claude Parent

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Claude Parent ci ha lasciati il 27 febbraio di quest’anno, appena un giorno dopo aver compiuto 93 anni. Eppure ci sono uomini che non muoiono mai definitivamente: cambia solo il modo in cui ci riferiamo a loro. A chi ha avuto modo di conoscerlo mancherà il suo affetto, la sua generosità, la sua gioia di vivere, ma tutti coloro che vorranno potranno ancora dialogare col maestro francese attraverso le sue opere e i suoi testi. Oggi si è costretti a pensare che il corpo Parent ha compiuto il proprio ciclo, ma soprattutto è necessario evidenziare che il suo insegnamento è vivo e attende ulteriori sviluppi.
Il mio incontro con Parent e con Bruno Zevi, nel settembre del 1997 a Modena, è coinciso con la mia decisione di dedicarmi all’architettura. E’ per questo che oggi mi sento un pò più solo, ma anche testimone di un messaggio architettonico che è parte del mio modo di pensare all’architettura.

Parent si descriveva come un cane da caccia, un segugio sempre alla ricerca di qualcosa di nuovo, pronto a rincorrere, scattare di lato e proiettarsi in avanti. Per questo gli ultimi duemila anni di architettura gli erano sembrati ripetitivi, coercitivi nei confronti di nuovi possibili approcci, forse persino dogmatici per uno spirito libero: perché non introdurre qualcosa di inaspettato? Perché non ragionare su un valore ancora inesplorato o troppo spesso negletto nella concezione dello spazio architettonico? Da queste semplici riflessioni nasce la sua teoria della fonction oblique sviluppata col filosofo Paul Virilio.

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Maison André Bloc (1959-62), Cap d’Antibes, fotografie Emanuele Piccardo

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La banale scatola edilizia, con i suoi piani e pareti ortogonali tra loro, ha reso l’uomo pigro, condannandolo ad una vita ordinaria in forme preconfezionate e monotone. Al contrario l’elemento obliquo apporta dinamismo all’organismo edilizio, frantuma ogni rigore compositivo imposto come a-priori, scuote dalle fondamenta la percezione umana. L’obliquo si traduce in piani inclinati e rampe, fratture e slittamenti di volumi, scivolamenti e compenetrazioni di spazi. L’obliquo di Parent nasce dunque come un’ipotesi libera e provocatoria, senza proporsi come un metodo formale. Percorrere un piano inclinato ci obbliga a risvegliare sensi e abilità umane che giacciono addormentate nel profondo della nostra psiche: l’occhio corre lungo le superfici inclinate e il cervello è costretto a rielaborare continuamente le informazioni e le sollecitazioni provenienti da un supporto destabilizzante.

L’architettura di Parent tiene conto delle proporzioni, ma ridefinisce del tutto il rapporto tra interno ed esterno, introducendo il concetto di frattura del volume architettonico. Si tratta di una sostanziale rivisitazione del vocabolario della scomposizione quadrimensionale applicato da architetti e artisti come Theo van Doesburg, Cor van Eesteren, Gerrit Thomas Rietveld. Parent in altre parole amplia la ricerca portata avanti da esponenti ed epigoni del movimento De Stijl. Ne sono prova le sue prime opere come la Maison Morpain (1953-56), progettata con Ionel Schein, la villa concepita per André Bloc (1959-1962) sulla Costa Azzurra ad Antibes, la Maison de l’Iran (1960-68) presso la Cité Internationale Universitaire di Parigi, la Maison Drusch (1963-1965) a Versailles.
Non è un caso che l’indagine critica operata da Zevi sul neoplasticismo e il suo approccio progressista, volto ad indicare la vitalità insita nel pensiero moderno, fossero stati per Parent punti di riferimento e il tramite di un’amicizia duratura. In una Francia orfana di Le Corbusier il superamento delle tesi razionaliste e funzionaliste era la strada più difficile, ma che valeva la pena intraprendere.

Maison-Drusch-a-Versailles_1965

Maison Drusch (1963-65), Versailles

Parent non era un architetto, almeno non nel senso burocratico del termine. Come i grandi maestri del moderno aveva rifiutato di imparare l’architettura nel chiuso delle aule universitarie, preferendo la frequentazione di artisti come Yves Klein. Nonostante non avesse mai conseguito una laurea in architettura aveva comunque ottenuto il raro privilegio di vedersi riconosciuta la propria qualifica dalle autorità francesi. Dopo un breve periodo nello studio di Le Corbusier aveva iniziato la sua avventura nel mondo dell’architettura collaborando insieme a Ionel Schein. Pochi anni dopo, alla vigilia degli eventi del 1968, la fondazione del gruppo Architecture Principe con Virilio e gli artisti Michel Carrade e Morice Lipsi con cui dà vita anche all’omonima rivista. Un sodalizio che si concretizza nella realizzazione della Chiesa di Sainte-Bernadette du Banlay (1963-1966) a Nevers, capolavoro brutalista che sintetizza le ricerche di Virilio sui bunker e le riflessioni di Parent sul tema della frattura.

Ripercorrere l’intera biografia e le opere di Parent in un articolo significherebbe cadere nella retorica o nel necrologio giornalistico. Più interessante in questo momento ci sembra rintracciare il suo messaggio nel lavoro di altri architetti. Qual è dunque l’eredità di Parent? Si può sintetizzare brevemente proprio nella poetica dell’obliquo, ovvero nell’aver indicato il valore di sperimentare una spazialità che è oltre quella rappresentata da un piano orizzontale e una parete verticale. Cosa ha significato il suo lavoro per l’architettura contemporanea? Molto, poiché senza le premesse teoriche da lui elaborate ci troveremmo sprovvisti degli strumenti critici per valutare numerose delle realizzazioni odierne. Personaggi del calibro di Odile Decq e Jean Nouvel hanno dichiarato più volte il loro debito culturale nei confronti di Parent. Il lavoro sulla massa e sul volume nelle prime opere di Nouvel come la ricerca nella frantumazione dei volumi nel lavoro della Decq ne certificano un interesse che travalica le frequentazioni e l’amicizia. Le folies che Bernard Tschumi realizza al Parc de la Villette a Parigi riadattano soluzioni ed etimi già esplorati da Parent nella sua ricerca sulle case per abitazione. Oltrepassando i confini della Francia basti pensare al Museo Ebraico a Berlino di Daniel Libeskind: il piano inclinato ipogeo sul quale si ritrova il visitatore, all’inizio del percorso museografico, mette in atto proprio quella destabilizzazione percettiva prevista da Parent nelle sue teorie. Wolf Prix e Helmut Swiczinsky, i fondatori dello studio viennese Coop Himmelb(l)au, all’inizio degli anni ’90, appena approdati sul panorama internazionale, si rivolgono a Parent per partecipare assieme ad un concorso di architettura, sviluppando un’originale forma di collaborazione e robusti stimoli creativi per la loro ricerca.

La nuova Opera House di Oslo, progettata dallo studio Snøetta, appare invece come un tentativo di messa a verifica dei magnifici schizzi elaborati da Parent nel corso di una vita. La grande piazza inclinata, caratterizzata da una serie di volumi e tagli che ne frantumano il piano, si presenta come una vera e propria prefigurazione urbana e non solo come la copertura praticabile dell’edificio. Come immaginato da Parent nei suoi studi sulla circulation habitable, in cui le città sono formate da piani inclinati, scossi da immaginari movimenti tellurici, la realizzazione norvegese sperimenta con successo il continuum tra edificio e ambiente urbano. Se l’obliquo è la cifra poetica di Parent, i nodi teorici affrontati nei progetti e nelle sue pubblicazioni trovano riscontro anche nelle realizzazioni di altri architetti. Questo ci deve far pensare quanto oggi sia viva la sua lezione. Parent ci ha indicato una via, ha aperto il nostro immaginario architettonico verso soluzioni nuove ed inesplorate, ma ancora molta strada si dovrà percorrere assieme a lui.
E naturalmente sarà una strada obliqua.

[Luca Guido]

Peer review EP

2.3.16