Caterina Iaquinta. Gianfranco Baruchello e la formula “agro-politica” dell’arte

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G. Baruchello, Allevamento di pecore (Agricola Cornelia S.p.a. 1973­-1981)
Courtesy Fondazione Baruchello

Gli anni successivi al ‘68 per l’Italia rappresentano un momento di particolare assestamento. La fase di contestazione aveva lasciato un ampio margine di analisi su quanto le lotte sociali e la crisi economica avevano sollevato e non risolto, mentre dal punto di vista artistico-culturale la situazione italiana vedeva l’avvio dell’Arte Povera, dapprima come azione di “guerriglia” poi come strumento tra l’archetipo e il simbolico per risvegliare le sostanze insite nei processi e nei cicli della natura e della Land Art, un’ esplicita dichiarazione estetica di dominazione dell’uomo sulla natura. Distanti a queste posizioni, molti artisti e intellettuali decidono di allontanarsi dai circuiti caotici delle città, teatro della loro militanza, per trasferirsi in contesti in cui fosse possibile rigenerare un rapporto con la natura e ristabilire un nuovo equilibrio tra arte e vita senza per questo allinearsi al sistema dell’arte. Ma, come afferma Marco Scotini, curatore della mostra EARTHRISE. Visioni pre-ecologiche nell’arte italiana (1967-73), in mostra al Pav di Torino fino al 6 Febbraio, se “non si tratta di ritornare a mitiche e impossibili condizioni originarie, tantomeno di sbarazzarsi della tecnologia avanzata, il cui uso politico appare ora la vera posta in gioco di ogni futuro possibile”, allora quali sono le vie d’uscita per affrontare la consapevolezza della finitudine del pianeta, della “Terra come oggetto di una nuova consapevolezza antropologica e di responsabilità sociale”? 

Ciascuno degli artisti presenti in mostra: Piero Gilardi, 9999, Gianfranco Baruchello, Ugo La Pietra, indagano in modi diversi i rapporti che l’arte instaura con la dimensione ecologica coniugandola all’uomo nelle forme di una pratica attiva, a tutti i livelli del sociale. Se nelle visioni di Gilardi, 9999, Ugo La Pietra, emerge un contesto ecologico basato sull’artificio come ultima via di salvezza per preservare una natura incontaminata, sulla progettazione di nuovi dispositivi per la sopravvivenza dell’uomo nella natura, sull’osservazione e mappatura dei nuovi insediamenti agricoli nella città, nell’opera di Baruchello questo viene messo in essere attraverso un’operazione di lunga durata, una sorta di happening para-politico di vita agreste tra agricoltura e estetica, zootecnia e vita: Agricola Cornelia S.p. A.

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G. Baruchello, Agricola Cornelia S.p.a. (1973-­1981), Ed exit, Milano 1981
Courtesy Fondazione Baruchello

L’estensione, l’ampiezza e la durata dell’esperienza svolta nelle campagne a nord di Roma tra il 1973 e il 1981, frutto di una progressiva occupazione e successivo acquisto di circa otto ettari di terreno, diventano la materia su cui sperimentare un nuovo stile di vita, usare l’agricoltura come metodo speculativo e mettere in discussione le leggi interne al sistema e al mercato dell’arte. Come afferma più volte nel testo “How to imagine. A narrative on art, agriculture”1, nell’Agricola Cornelia dopo un certo periodo tutto si era trasformato in arte: la crescita delle patate, un camion di barbabietole da zucchero, una mucca che partorisce, l’osservazione del comportamento di un gregge di pecore così come un pacco di giornali appesi ad un albero, un quadro, un film sulle condizioni di un campo di grano, gli appunti e le note sui testi di botanica, le fotografie scattate, i suoni registrati che si articolavano nelle ipotesi di realizzare una mostra o un libro su quanto stava accadendo o su come coinvolgere il pubblico dell’arte in questa sorta di “happening totale” e continuo, a come “sfruttare”, criticandola, la natura evenemenziale, concettuale ed effimera dell’arte in quel periodo.

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G. Baruchello, coltivazione di rape (Agricola Cornelia S.p.a. 1973­-1981)
Courtesy Fondazione Baruchello

Tra queste potenziali formulazioni artistiche dei risultati che via via andava raccogliendo nella sua operazione rientra “Agricola anti-potere”, un comunicato stampa scritto da Baruchello nel 1976 che ammonisce gli intellettuali coinvolti in un certo tipo di potere politico e culturale a provare a fare quello che si stava facendo presso l’Agricola Cornelia, esposto nella sua forma originaria di ciclostile in mostra.

Così racconta Baruchello ad H. Martin nel 1980:

“There was a point at which I even went so far as to call it “Agricola Anti-Establishment”, it was incredibly pretentious, it was a text to be circulated among intellectuals and art world people, mimeographed, and it described our beet operation. It was a kind of press release and it had a very polemical tone about it as far as the intellectuals were concerned, it was polemical since it considered them the middle-men in the exercise of a certain kind of political and cultural power and it invited them to give themselves over instead to creative activities similar or analogous to what we were doing here at Agricola Cornelia, to things like the practical production of sugar beets, and it quoted Foucault where he says that the plight of the intellectual is found in his duty to struggle against the form of power of which he is at one and the same time both object and instrument.”2

A questo testo, nell’idea di Baruchello ne dovevano seguire altri, ad esempio su come costituire un gregge di pecore, ma che non furono mai diffusi, mentre una mostra sull’intera operazione fu realizzata nel 1981 a Milano presso la Galleria Milano con la produzione di un catalogo redatto dall’artista “Agricola Cornelia S.p.A. (1973-1981)” che raccoglieva in forma poetica una serie parole concetti-chiave che nel corso degli otto anni avevano costituito nella mente dell’artista la materia immaginativa con cui era riuscito a sopravvivere alla natura e al potere.

“Agricola Anti-potere3

Si è andato formando in Italia in questi ultimi anni un gruppo di potere che controlla di fatto le attività creative e artistiche dei cittadini.

L’azione di questo gruppo non è apertamente promossa dallo stato (poiché questo in Italia non riesce ad esprimere nemmeno un rudimento di politica culturale) ma in pratica si allinea, collabora, aderisce agli interessi del grande capitale di stato e primato.

[…]

Anche se disomogenea e diversa da forti rivalità interne, questa commissione di controllo sostanzialmente conformista e borghese è formata da uomini in gran parte legati a partiti della sinistra tradizionale, le ideologie dei quali non incidono che in minima misura nell’azione di questi loro iscritti.

[…]

All’ombra di questa situazione il gruppo di potere continua con sempre maggiore efficacia nel suo lavoro consistente nel manipolare, classificare, riscrivere, banalizzare, censurare, promuovere accettando, respingere ignorando. I suoi presupposti operativi possono riassumersi come segue: 1) tutto è stato già detto visto fatto 2) il diverso è frutto di situazioni patologiche 3) l’opera d’arte ha ciononostante libero corso : a) se è funzionale agli interessi e al potere culturale gestito dai controllori; b) se viene ad assumere un valore economico sufficiente ad alimentare la speculazione del mercato culturale.

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G. Baruchello, Giornali appesi all’albero, 1975
Courtesy Fondazione Baruchello

[…]

Nel corso dell’anno 1976, circa due ettari di terreno incolto, nella campagna romana, sono stati messi in coltivazione senza alcun titolo giuridico (proprietà privata, mezzadria, affitto, enfiteusi) seminandovi kg, 5 (cinque) di seme di barbabietola MARIBO’ EXTRA POLY 3,50/4,50 UN.

Nel mese di ottobre dello stesso anno da questa superficie di terreno sono stati raccolti kg, 84.340 (ottantaquattromilatrecentoquaranta) netti di barbabietola da zucchero, come risulta dagli scontrini delle bilance della società Cavarzere Produzioni industriali, Zuccherificio di Latina, cui il prodotto è stato consegnato mediante tre autotreni con rimorchio della portata rispettivamente di Q.li 271.7 – 254.4-317,3.

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G. Baruchello, coltivazione di barbabietole da zucchero (Agricola Cornelia S.p.a. 1973-1981) Courtesy Fondazione Baruchello

Questa azione creativa è stata dunque condotta sulla natura e contro di questa, sottraendosi a ogni tipo di condizionamento critico dello stato, sottostando solo a eventi metereologici e a leggi economiche di un mercato (quello agricolo ) che nemmeno lo stato riesce a controllare, evitando ogni contatto con musei, gallerie d’arte, collezionisti, depersonalizzando al tempo stesso nella valutazione del prodotto finale (legata non al nome dell’artista ma al peso e al tenore zuccherino della barbabietola) l’operatore e il mito mercantile borghese di questo.

[Caterina Iaquinta]

11.1.16

1 G. Baruchello, H. Martin, How to imagine. A narrative on art, agriculture, Bantam Books, New York 1985 (I ed. Mc Pherson, 1984).

2 G. Baruchello, H. Martin, How to imagine. A narrative on art, agriculture, cit., p. 31.

3 Il presente estratto è tratto da Agricola Antipotere, testo inedito di G. Baruchello del 1976, esposto integralmente presso la mostra EARTHRISE. Visioni pre-ecologiche nell’arte italiana (1967-73).