Maria Giovanna Mancini. Public art e publicity sulle pagine di «October»

Nel 1976 usciva il primo numero di «October», una rivista statunitense di fondamentale importanza per la costruzione del modello critico e storico-artistico occidentale.
Maria Giovanna Mancini nel suo recente testo «October» una rivista militante (Luciano Editore, Napoli, 2014) ne restituisce la genealogia, ricostruendo le fasi dei dibattito teorico sviluppato attorno a temi centrali tra cui il medium fotografico, la questione del postmoderno, il museo e l’arte pubblica, l’apertura ai visual studies. Per la nostra rivista l’autrice ha rielaborato un focus sulla questione del rapporto tra museo, arte pubblica e pubblico.

[Caterina Iaquinta]

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Richard Serra, Tilted Arc, New York, 1981 rimosso nel 1989

La rivista «October», fin dalla sua fondazione nel 1976, ha segnato una frattura nel panorama critico statunitense con eco considerevoli, ancora oggi, nel dibattito europeo.
Il lavoro e i discorsi portati avanti dagli autori, tra cui Leo Bersani, Susan Buck-Morss, Rosalyn Deutsche, Slavoi Žižek, Mignon Nixon, Peter Wollen, Leo Steinberg, Andrea Fraser, Helen Molesworth, Laura Mulvey, Silvia Kolbowski, Miwon Kwon, Allan Sekula, Carol Armstrong, T. J. Clark, Thierry de Duve, Stuart Hall, dal gruppo degli editorialisti, tra cui figurano Douglas Crimp, Joan Copjec, Yves-Alain Bois, Hal Foster, Benjamin H. D. Buchloh, Denis Hollier e Silvia Kolbowski e dalle fondatrici Rosalind Krauss e Anette Michelson, ha aggiornato il dibattito critico con gli strumenti della teoria post-strutturalista che molto doveva al campo di studi successivamente definito French Theory (1), da cui gli autori di «October» furono largamente influenzati.

La nuova proposta critica germina dalla necessità di prendere le distanze dalla posizione teorico-critica di Clement Greenberg a partire dallo studio dell’avanguardia storica europea che su «October» viene avviata fin dai primi numeri. Il titolo stesso della rivista è un manifesto. La citazione del film di Eisenstein realizzato come agiografia della rivoluzione, è l’emblema del metodo degli octoberist: la “citazione”, allo stesso tempo metodo e allegoria di un modo specifico di intendere l’arte, é il gesto fondante della rivista. Di conseguenza le avanguardie sovietiche diventano in«October» il primo oggetto di studio su cui misurare la diversità e l’innovazione di un approccio teorico che ritesse i fatti con i contesti e su cui si innesta il dibattito sull’arte contemporanea a sostegno di proposte artistiche analitiche e testuali che intervengono attivamente e criticamente nel quotidiano.
Il discorso degli octoberist nell’ambito dell’arte pubblica contribuisce quindi all’indagine su un’arte analitica e critica e sulle dinamiche istituzionali che la determinano.

L’arte pubblica di cui parla «October» è scultura e intervento nello spazio interno ed esterno al museo, ma è anche intervento urbano, occasione di analisi sociologiche e prese di coscienza, strumento di rivendicazione sociale, un dispositivo complesso che trova la sua ragion d’essere nella stratificazione del presente. Un punto di vista centrale del discorso sull’arte pubblica di stanza su «October» è rappresentato dal saggio di Rosalind Krauss sulla scultura contemporanea (2). La studiosa analizza la natura della scultura in rapporto con il contesto, non più esclusivamente da un punto di vista fenomenico ma attraverso l’allargarsi dello spazio della scultura nello spazio dell’architettura che non si connota esclusivamente come un movimento di fuoriuscita dalla natura specifica del mezzo, ma come un’adesione ad una dinamica linguistica e strutturale.

spiral1Robert Smithson, Spiral Jetty, Great Salt Lake, 1970, fotografia Emanuele Piccardo

Analogamente per Craig Owens il centro del discorso è nella natura linguistica dell’arte, in particolare nella scultura dalle dimensioni ambientali di cui Spiral Jetty di Smithson rappresenta il caso emblematico. Smithson utilizza parole e linguaggio come materia della sua opera per costruire, attraverso l’accumulazione di materiale, un’attività estetica dalla natura allegorica. Owens chiarisce che «when the Great Salt Lake rose and submerged the Spiral Jetty, the salt deposits left on its surface became yet another ling in the chain of crystalline forms which makes possible the description of the Jetty as a text» (3). Per Owens, infatti, l’allegoria è la pratica significante del postmodernismo per eccellenza, perché sovverte i confini -rendendoli totalmente intercambiabili- tra visuale e verbale, confermando così la natura testuale dell’esperienza estetica. Il piano critico su cui si sviluppa la riflessione degli autori di «October» intorno agli interventi dell’arte nell’urbano è anch’esso un “campo allargato” e si serve della riflessione di Habermas sulla natura della sfera pubblica (4) .

Nel 1988 il volume 46 di «October» è interamente dedicato alla figura di Alexander Kluge, teorico e cineasta tedesco. Nel volume monografico Alexander Kluge: Theoretical Writings, Stories, and an Interview, vengono selezionati e tradotti alcuni estratti dal volume Sfera pubblica ed esperienza (5), da cui emerge l’idea che gli autori, Negt e Kluge, hanno della sfera pubblica e la critica ai luoghi comuni intorno alla publicity (6). Il saggio chiarisce bene la posizione dei due teorici riguardo ad un processo di omogeneizzazione e di esclusione. Questi, infatti, contrappongono una sfera pubblica borghese, che reitera un processo di esclusione, ad una sfera pubblica proletaria.

La nuova produzione dello spazio pubblico è vittima di un processo governato dall’industria, dalla pubblicità, dalle compagne commerciali e dagli apparati amministrativi che costituisce un fenomeno inedito: quello della pseudo-sfera pubblica che ricopre per certi versi la vecchia sfera pubblica borghese basata sull’esclusione. Nello stesso anno Rosalyn Deutsche pubblica il saggio Uneven Development, che affronta gli aspetti centrali del dibattito analitico sul valore degli interventi artistici nello spazio pubblico (7).

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La studiosa si serve della posizione di Negt e Kluge per argomentare la sua ricerca: nella pseudo-sfera pubblica il dibattito viene represso e ogni voce dissenziente viene resa omogenea alla massa. Tale sfera secondo i teorici tedeschi, ricorda Deutsche, è caratterizzata «dalla trasformazione delle condizioni degli aspetti della vita di tutti i giorni in oggetti di produzione». Deutsche si interroga anche sull’uso della cosiddetta Public Art, problematizzando la possibilità di discriminare attraverso il sito di collocazione una supposta natura pubblica dell’arte. L’errore di fondo da lei suggerito, è quello di ricondurre il discorso sull’arte pubblica a quello dell’arte nello spazio pubblico che porta in auge un’idea culturale unitaria costruita su un principio maschilista che impone regole d’esclusione. L’autrice invita invece a spostare il discorso verso l’articolazione di una sfera pubblica in modo da aprire l’orizzonte del dibattito, al di là dell’ingenua distinzione che l’arte è pubblica perché collocata nello spazio pubblico, a vantaggio di una riflessione sulle esperienze che, collocate in contesti liminali, contribuiscono ad evidenziare le dinamiche del potere e del controllo dello spazio pubblico privilegiando l’arte che costruisce uno spazio discorsivo e una definizione mobile di sfera pubblica. Il caso della rimozione del Tilted Arc di Richard Serra diviene per Deutsche un caso emblematico per il vasto dibattito scaturito nell’opinione pubblica circa l’opportunità di rimuovere la scultura e quello, su più ampia scala, circa l’uso e la natura dello spazio pubblico.

Ma il Tilted Arc è soprattutto utile alla Deutsche per introdurre la questione dell’uso ideologico delle politiche spaziali nella New York della fine degli anni ’80 (8). Avvalendosi delle posizioni critiche di Lefebvre e di Harvey, per analizzare in chiave postmoderna la trasformazione di New York, Deutsche ha sostenuto il lavoro dell’artista Krzysztof Wodiczko, riferendosi all’analisi e all’aggiornamento che lo stesso Harvey fa del noto saggio di Lefebvre La Production de l’espace (9) e prendendo come guida della sua riflessione, l’articolo The Urban Process Under Capitalism (10). Analizzando i fatti che hanno portato alla realizzazione del progetto, la teorica americana usa la posizione di Harvey per affermare un diretto interesse dei capitali nella forma della città.

In questo modo la rivista si è fatta portavoce del discorso critico sulla presenza dell’arte nella città, non solo assumendo posizioni specifiche rispetto alle emergenze sociali, ma soprattutto evitando di agire in termini decorativi nel tessuto urbano. Questa attitudine va riferita anche all’attività del collettivo Act Up e il lavoro critico culminato nel numero monografico pubblicato nel 1987 a cura di Douglas Crimp (11). Il volume sull’AIDS – emergenza culturale più che sanitaria- si è avvalso del contributo scientifico di teorici dell’arte, artisti, sociologi ma anche attivisti e militanti dei gruppi di rivendicazione politica e dei diritti sociali degli omosessuali. Crimp ha lavorato al volume monografico nel periodo più critico dell’emergenza sanitaria, quello in cui la politica reaganiana mostrava il suo volto conservatore e repressivo e che spinse i teorici e gli attivisti a riflettere sulla rappresentazione dell’individuo, della malattia e dei rapporti di potere che si celavano dietro gli eventi. Questa fu l’occasione per Crimp di indagare le modalità con cui l’arte si stava rapportando alla società, sia nelle forme più tradizionali e conservatrici, che riproponevano un’esausta separazione tra un ambito specifico dell’arte, della vita o della politica, sia attraverso una pratica attivista che rivendicava una funzione incisiva dell’arte nella vita dell’individuo e nella comunità.

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ACT UP, demonstration at Memorial Sloan-Kettering Hospital, New York, 1987

L’indagine sullo spazio pubblico è dunque uno dei punti cruciali del dibattito proposto da «October» in una prospettiva che evidenzia l’inoperatività delle logiche autoritarie del monumento e privilegia gli interventi contestuali e site-specific in una pratica democratica, orizzontale e partecipativa. Un dibattito teorico questo che dagli anni ’90 è ripreso intorno al tema della site-specifity con la pubblicazione dell’articolo di Miwon Kwon, un riferimento di capitale importanza per gli studi di teoria dell’arte (12), in cui la studiosa individua i differenti approcci per cui l’arte entra in una relazione con il luogo inteso come sito antropologico, sociale e politico e non esclusivamente luogo fisico in cui avviene, in termini fenomenologici, la visione dell’opera. Ciò che emerge dalle pagine di «October», di cui qui si riportano solo alcune voci, è che l’indagine critica delle separazioni tra gli ambiti specifici dell’arte, della vita e della politica da un lato e dall’altro, la proposta radicale degli artisti che mette in discussione i confini tra ciò che dentro e ciò che è fuori l’istituzione dell’arte, hanno costituito – e molto probabilmente costituisce ancora oggi – il fronte aperto in cui negoziare, attraverso l’arte, uno spazio di partecipazione, di rappresentazione dei desideri delle collettività e dei singoli, di strappo di un’articolazione simbolica precostituita, della coabitazione tra il sé e l’alterità.

[Maria Giovanna Mancini]

23.7.15

 

(1)François Cusset, French Theory. Foucault, Derrida, Deleuze & Co. all’assalto dell’America, trad. it., Il Saggiatore, Milano 2012.

(2)R. Krauss, The Sculpture in Expanded Field, in «October», Spring 1979; trad. it. in Id., L’originalità dell’Avanguardia e altri miti modernisti, Fazi, Roma 2007.

(3) C. Owens, Earthwords, in Id, Beyond Recognition, Representation, Power, and Culture, già in «October»

(4)Jürgen Habermas, Strukturwandel der Öffentlichkeit (1962) tradotto in italiano con il titolo Storia e critica dell’opinione pubblica ( Laterza, Bari 1971).

(5)O. Negt, A. Kluge, Öffentlichkeit und Erfahrung: zur Organisationsanalyse von bürgerlicher und proletarischer Öffentlichkeit, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1973, trad. it. Sfera pubblica ed esperienza: per un’analisi dell’organizzazione della sfera pubblica borghese e della sfera pubblica proletaria, Mazzotta, Milano 1979; poi pubblicato in «October», Vol. 46, Autumn 1988, pp. 60-82.

(6)Oskar Negt, Alexander Kluge, The Public Sphere and Experience: Selection, in «October», Vol. 46, Alexander Kluge: Theoretical Writings, Stories, and an Interview, Autumn 1988.

(7)Rosalyn Deutsche, Uneven Development: Public Art in New York City, in «October», Vol. 47, Winter 1988.

(8) Rosalyn Deutsche, C. Gendel Ryan, The Fine Art of Gentrification, in «October», Vol. 31, 1984.

(9) Henry Lefebvre, La production de l’espace, Anthropos, Parigi 1974, trad. it. Id., La produzione dello spazio, Moizzi, Milano 1976.

(10) David Harvey, The Urban Process Under Capitalism, in M. Dear e A. J. Scott (a cura di), Urbanization and urban planning in capitalist society, Methuen, New York 1981.

(11) Douglas Crimp, Introduction, in «October», Vol. 43 AIDS: Cultural Analysis/Cultural Activism, Winter 1987.

(12) Miwon Kwon, One place after Another: Site-Specific Art and Locational Identity, in «October», vol. 80, Spring 1997, pp. 85-100, pubblicato in un’edizione più ampia nel volume dallo stesso titolo nel 2004 (The MIT Press, Cambridge-London).