Emanuele Piccardo. Le esagerazioni incontrollate di Branzi

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UFO, Urboeffimero n.6, Firenze 1968, Courtesy Lapo Binazzi

E’ sempre più difficile pensare che l’architettura radicale possa essere analizzata e letta da uno dei suoi protagonisti e artefici. In un modo o nell’altro affiora sempre un egocentrismo che riporta tutto alla propria esperienza personale. Si perde quella lucidità necessaria per collocare ciò che accadde in Italia, dal 1963 al 1973, nelle Facoltà di Architettura, l’esplosione della cosiddetta Architettura Radicale, nota anche come Superarchitettura. In questa categoria, egocentrica, si inserisce il primo libro autobiografico radicale scritto da Andrea Branzi, dal titolo promettente “Una generazione esagerata. Dai Radical italiani alla crisi della globalizzazione”. In questo caso l’autore adotta uno stile da romanzo, mischiando vita privata, movimento radicale, fatti di cronaca nera (come il rapimento Moro), in maniera arbitraria, presuntuosa e tagliente soprattutto nel giudizio dei suoi compagni di viaggio. A corollario di questa storia romanzata, viene pubblicata una raccolta di saggi già noti, a cura di Francesca Balena Arista, scritti da Archizoom, Superstudio, UFO, La Pietra, le radical notes di Branzi e scritti passati e recenti sul suo lavoro. Non si tratta però di una autobiografia come quella scritta da Frank Lloyd Wright, in cui l’architetto americano racconta tutta la sua vita in prima persona in maniera scientifica e asciutta, né tanto meno raggiunge la qualità linguistica dei libri di Giancarlo De Carlo (ad esempio Nelle Città del mondo).

Questo approccio denota un’assenza di autocritica da parte di uno dei protagonisti del movimento radicale nell’omettere il fallimento del movimento, incapace di proporre un’architettura nuova che solo le generazioni successive (Hadid, Piano, Foster, Koolhaas) riusciranno a realizzare. Basta pensare al Centre Pompidou materializzazione del pensiero radicale delle città immaginate da Archigram e dal Fun Palace di Cedric Price. Molti degli architetti radicali, hanno abbracciato il post-modern ancora prima che si fosse formato. Dai Gazebi degli Archizoom alle architetture di Natalini e Toraldo.

I primi che hanno sistematizzato la Superarchitettura sono stati Paola Navone e Bruno Orlandoni, nella loro tesi di laurea in architettura (discussa a Torino con relatore Carlo Olmo), pubblicata da Casabella nel 1974 con il titolo Architettura “radicale”. Fu questo il primo e insuperato testo critico che lesse la storia complessa del fenomeno attraverso diverse sfaccettature come le influenze delle avanguardie storiche, fino ai movimenti della Land e Performing Art coevi degli architetti radicali. Orlandoni e Navone riuscirono a ricostruire la mappatura dei diversi contesti culturali in cui germogliò il seme radicale. Ma soprattutto individuarono le analogie tra i gruppi fiorentini e quelli anglosassoni, tra Ugo La Pietra e gli austriaci, fino alle azioni degli ultimi gruppi, oltre il ’73, come quelle fatte da Cavart. Inoltre lessero il fenomeno radicale nella sua interezza che solo in parte, recentemente, hanno fatto Frederic Migayrou, Marie Ange Brayer e Dominique Rouillard, carenti nella contestualizzazione storica-politica. Anche se va riconosciuto a Migayrou il merito di essere stato il primo, sempre insieme alla Brayer, ad acquistare disegni e progetti dei radicali prima per il Frac Centre e poi per il Pompidou, nel totale disinteresse delle istituzioni museali italiane, ad eccezione dello CSAC di Parma (creatura di Arturo Carlo Quintavalle), dove gli Archizoom depositarono il loro archivio.

L’architettura radicale è rimasta nell’ombra per un ventennio, fino a quando nel 1996 Hans Hollein viene nominato direttore della Biennale di Architettura di Venezia, e affida a Gianni Pettena la curatela della mostra Radicals. Un evento a cui partecipano gruppi radicali e gruppi o singole figure che assumevano comportamenti radicali rispetto allo status quo, ma che non potevano essere considerati fautori del movimento nato a Firenze nel 1966 (con la fondazione di Archizoom e a seguire Superstudio, UFO, Pettena, 9999, Remo Buti e Zziggurat), con la prerogativa di ribaltare il concetto di progetto, espresso dal movimento moderno. Ma l’architettura radicale si sviluppò in modo frammentario anche a Milano grazie a La Pietra e a Torino con Pietro Derossi e il futuro Gruppo Strum.

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Pietro Derossi (con Giorgio Ceretti), Piper E’ la fine del mondo, Torino 1966
Courtesy Pietro Derossi

Non fu un movimento, né tanto meno un gruppo di architetti che parlavano la stessa lingua, bensì un coacervo di personalità diverse che, in un determinato periodo storico, si sono ritrovati a riflettere sul significato del progetto di architettura usando strumenti e media diversi. Da una parte chi, come Superstudio e Archizoom, era interessato unicamente al progetto teorico, mentre altri come gli UFO, Gianni Pettena, Ugo La Pietra e in parte Derossi sperimentavano le loro riflessioni teoriche nello spazio pubblico, rappresentato dalla piazza e dal piper/discoteca. Il 1999 (poi trasformatosi nel ’70 in 9999) verificava sui muri del Ponte Vecchio l’affermazione di McLuhan “il medium è il messaggio”. Qui il medium era la proiezione degli astronauti sulle case del Ponte, per coinvolgere sensorialmente quel pubblico che avrebbe invaso il piper-discoteca Space Electronic, progettato, realizzato e gestito dal gruppo a partire dal 1969; condizione analoga al primo Piper realizzato da Pietro Derossi (con Giorgio Ceretti) a Torino nel 1966.

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9999, Happening sul Ponte Vecchio, Firenze 1968, Courtesy Carlo Caldini

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9999, Space Electronic(1969), S-Space Festival, Firenze 1971, Courtesy Carlo Caldini

Invece leggendo il libro si ha l’impressione di un racconto troppo autoreferenziale, senza quella obiettività che eviti al suo fautore di rimanere intrappolato dentro al suo pensiero, escludendo gran parte dei membri dell’avventura radicale concentrandosi unicamente su Archizoom (Dio), Superstudio (“apostoli”), Ufo e La Pietra (“i discepoli”). “La decisione di analizzare questi gruppi e non i tanti altri, deriva dalla loro specificità-scrive Branzi- […]hanno assunto per primi il concetto della de-territorializzazione del progetto; cioè a dire del superamento dei limiti locali su cui l’architettura si è sempre fondata[…] Sia gli Archizoom che Superstudio, gli UFO o Ugo La Pietra operavano in una dimensione territoriale (e mentale) illuminata, infinita, nebulosa, planetaria, che permetteva di conquistare nuove dimensioni del progetto[…] “.

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Gianni Pettena, Tumbleweeds Catcher, Salt Lake City 1972, Courtesy Gianni Pettena

Il superamento dei limiti locali, ovvero la città, è il percorso che compie anche Pettena, in Italia, ma con maggiore forza durante il suo viaggio in America nel 1971, prima a Minneapolis e poi nel 1972 a Salt Lake City, dove si lascia alle spalle il contesto italiano e rimodula il suo linguaggio visivo teorizzando, e attuando, la natura nella città. Un esempio significativo sono i tre lavori: Ice House I, Ice House II, Tumbleweeds Catcher. Pettena, sarà l’unico tra i radical ad assumere la doppia veste di storico del movimento e attore protagonista, camminando nel campo dell’arte (al pari di La Pietra) e comprendendo con anticipo la fine dell’architettura radicale. Nella dimensione del superamento della città vanno annoverati anche i 9999 con lo spazio del coinvolgimento, lo Space Electronic, e Pietro Derossi con i suoi Piper/discoteche, E’ la fine del mondo (Torino, 1966) e L’altro mondo (Rimini, 1967).

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Archizoom, No Stop City, 1970

Indubbiamente va riconosciuto a Branzi e all’Archizoom una certa preveggenza quando elaborarono la No Stop City (una metropoli rispondente direttamente al mercato senza più distinzioni di luoghi e funzioni), se oggi la situazione delle metropoli non è poi così diversa. Si pensi alla città generica teorizzata da Koolhaas in Junkspace, o alle recenti operazioni Santa Giulia e Milanofiori a Milano. Però con altrettanta forza vorrei qui sottolineare lo sprezzante giudizio sui compagni di viaggio di Branzi ,dei quali ne analizza in dettaglio i lavori.

Superstudio viene etichettato […] con una precisa componente politica di destra…che non si dichiara apertamente ma permane in forma inconscia[…] Superstudio vorrebbe realizzare in futuro una parte del Monumento Continuo[…].
Branzi parla di una vicinanza del gruppo con le architetture italiane degli Anni Trenta, ma bisogna ricordare che il razionalismo italiano, ben diverso da quello nordeuropeo, veniva mal digerito dal Fascismo come dimostrano le architetture di Terragni, in antitesi con il verbo linguistico espresso da Marcello Piacentini. Ovvero con quella monumentalità classica, fatta di archi e colonne in marmo e travertino, che si rifaceva all’antica Roma che non ha nulla a che vedere con il Monumento Continuo. Una struttura razionale concepita come una megastruttura che di per sé deve essere big size per creare una relazione con il paesaggio (tema che verra ripreso da Koolhaas nei suoi progetti di Euralille e Pechino). Pensiamo ai disegni di Paolo Soleri per Mesa City, o al gruppo giapponese dei Metabolist o alla Architecture Mobile di Friedman, sono tutti inconsciamente di destra?

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Superstudio, storyboard film sul Monumento Continuo, 1969

Anche il gruppo UFO fondato a Firenze nel 1967 dal suo sciamano Lapo Binazzi insieme a Titti Maschietto, Carlo Bachi, Riccardo Foresi, Patrizia Cammeo, Sandro Gioli viene considerato un gruppo che si colloca tra “Roberto Benigni, Giovanbattista Bracelli, grafico surrealista del XVII secolo e il Carnevale di Viareggio; eventi dove la fisicità era il risultato di un racconto illustrat, provvisorio e spesso incomprensibile nei singoli particolari, ma molto chiaro nel suo insieme”.

L’intenso lavoro messo in atto dagli UFO “[…] non aveva nessuna finalità produttiva né costruttiva; e quando si materializzava in architetture costruite esse diventavano subito “false”, come parti di un grande racconto mediatico, talmente auto-contaminate da produrre un encefalogramma piatto[…].

Branzi delinea le differenze tra la New Babylon di Constant, dove la città era liberata dal lavoro […]dove gruppi di Gitani giravano il mondo cantando e ballando[…] mentre gli […] eventi degli UFO erano invece il risultato di un frullato incommestibile, acido, un pastone di nuovi enigmi e doppi sensi. Gli UFO furono invece uno dei gruppi più attivi, sia nella dimensione teorica, grazie alla lezione semiologica di Umberto Eco, sia nella dimensione pratica con gli Urboeffimeri, oggetti gonfiabili in scala 1:1 che, in modo irriverente, rompevano l’austerità del potere politico e religioso di Firenze sfidandolo apertamente nello spazio pubblico: la piazza. In questo modo si mettevano in gioco, pronti allo scontro anche fisico per sostenere la de-strutturazione del linguaggio politico e visivo delle proprie performance. La continua ricerca della parodia fu l’elemento trainante degli UFO a tutti i livelli, dai negozi alla discoteca Bamba Issa, fino al Giro d’Italia del 1974, e non il “realismo” teorizzato da Branzi. Sullo stesso piano di azione nello spazio fisico si colloca Ugo La Pietra, che sintetizza nel Sistema disequilibrante, le modalità operative dei radicali. La Pietra attraversa le discipline, è lui stesso espressione della sinestesia delle arti attraverso l’uso del suo corpo che si immerge nell’acqua, nel gas e nell’aria. Un corpo che si fa performance nello spazio urbano delle periferie milanesi dove tutti i media (film, performance, disegno, scultura, design, scrittura) concorrono a definire la sua ricerca nel distruggere abitudini consolidate nell’abitare gli spazi. Mentre Branzi ne sostiene, sbagliando, l’esatto contrario e inserendo anche UFO e Pettena come architetti senza architettura…che non riconoscono più nella città e nelle sue forme solide il teatro dei loro interventi. Non si capisce quale fattore abbia determinato questa nebulosa che ha avvolto la memoria di Branzi nel non riconoscere fatti evidenti dimostrati dalle fotografie di Copro una strada e ne faccio un’altra (La Pietra a Campo Urbano, Como 1969), Laundry (Pettena a Campo Urbano, Como 1969), Superurbeffimero n.7 (UFO a San Giovanni Valdarno, 1968), solo per citare alcuni esempi tra i più importanti.

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Ugo La Pietra, Copro una strada ne faccio un’altra, Campo Urbano, Como 1969
Courtesy Ugo La Pietra

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UFO, Superurbeffimero n.7, San Giovanni Valdarno 1968, Courtesy Lapo Binazzi

La presunzione di Branzi raggiunge l’apice quando lui e Sottsass si avvicinano, durante l’inaugurazione della mostra Italy: the new domestic landscape, a Nelson Rockfeller, intento a mangiare un sandwich in giardino, dicendo ” Noi esponiamo nella mostra…Nelson senza guardarci ci interruppe tranquillo “Fuck you”. Questa affermazione dura, della serie non mi importa nulla di voi, rappresenta una buona metafora di un certo modo di porsi e della considerazione che si ha del proprio lavoro, raccontando una opaca storia dell’architettura radicale.

[Emanuele Piccardo]

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