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LA FORZA DEI LEGAMI DEBOLI # 2 aperto Molise

Fuoriuogo 13 - Aperto Molise rappresenta il primo legame attivo del progetto La forza dei legami deboli.
La rassegna Fuoriluogo 13 - Aperto Molise curata da Start in questa edizione si è focalizzata su alcuni aspetti della giovane arte del territorio molisano in due appuntamenti 29 Novembre 2008 (Mariagrazia Colasanto, Paride Di Stefano, Laura Fratangelo, Ettore Frani, Alessandra Mancini, Nicola Micatrotta, Cosimo Paiano, Carmen Testa) e 20 Dicembre 2008 (Emanuele Beltramini, Cristiana Califano, Vincenzo Cianciullo, Francesca De Amicis, Barbara Esposito, Alessia Finori, Cinzia Laurelli, Letizia Lomma).
Il progetto La forza dei legami deboli all’interno della rassegna, si è sviluppato cercando nel Molise una prima dimensione di apertura attraverso #2 aperto molise, piattaforma di scambio tra due regioni confinanti il Molise e l’Abruzzo.
Nell’intervenire in questa direzione l’obiettivo è stato quello di “provocare culturalmente” due territori contigui stimolandoli nell’utilizzo dello scambio-dono come strumenti di conoscenza e dialogo.
A rappresentare simbolicamente la regione del Molise è l’associazione postoesposto (Isernia) e per l’Abruzzo la MICROGalleria dell’Accademia (L’Aquila). A loro si è chiesto di analizzare e scomporre le questioni legate all’identità declinata in appartenenza ed estraneità rispetto ad un territorio, in apertura e dialogo, attraverso la scelta di linguaggi artistici e nella loro ricezione.
In occasione della seconda esposizione della rassegna Fuoriluogo 13 – Aperto Molise del 20 Dicembre, le due regioni si sono incontrate attraverso le due realtà coinvolte. Su un tavolo, una piattaforma di confronto che si è immaginata come parte di un territorio neutro, aperta verso una nuova geografia da comporre, si sono raccolti i contributi dei due interlocutori che rappresentano lo scambio, la forza e la debolezza delle identità stesse. MICROGalleria si presenta attraverso un video ed un testo e metterà sul tavolo il lavoro artistico di Piotr Hanzelewicz, Patria est ubicumque est bene (2008) testimonianza sul tema dell’identità e dei confini territoriali. postoesposto interviene con un lavoro in progress che come primo risultato visivo, dimensione 1 1 1 1 1 1 1 (2008), si traduce in un mappa rivista e rielaborata del loro territorio, pensato come luogo esperenziale che può attivare relazioni e condivisioni. In questo modo lo scambio dei contributi artistici e dialogici diventa simbolo di apertura e testimone del legame su un tavolo virtuale in divenire che si fa superficie di incontro allargato ai territori confinanti.

postoesposto
Postoesposto, dimensione 1 1 1 1 1 1 1, misure variabili, 2008

postoesposto risponde all’invito di start con un work in progress che intende il territorio come ambito esperienziale complesso. La modalità applicata è una riflessione critica -al presente- che considera come strategica la posizione geografica del Molise. In quest’ottica, qualsiasi movimento dentro e fuori il territorio si collega ad una logica del ritorno e ad una poetica di trasformazione continua dell’esistente.
Se considerato come luogo allargato (in cui ri-confluiscono e si ri-attivano le esperienze individuali) il territorio, oltre alla sua natura fisica e tangibile, diventa qualcosa di ideale: una rete di relazioni rinnovate, di condivisione attiva, di possibilità da creare. Esso è quindi un dispositivo che genera occasioni di scambio culturale su più livelli.
Pur considerando la molteplicità di chiavi di lettura, postoesposto individua due ambiti di interesse.
Il primo fa riferimento alla piattaforma del web e alle sue interazioni. Qui il tentativo è riportare il discorso ad un uso “proprio” del mezzo, riconoscendolo come strumento che mette in prospettiva le possibilità ma che non si sostituisce alla vita; il secondo livello ri-concretizza l’aspetto virtuale del primo, perché fondato sulla vitalità dell’incontro. Tutto ciò che il web centrifuga (osservazioni, istanze, appuntamenti, idee, progetti..), con una totale assenza di mediazioni, la vita mette a punto attraverso la potenzialità del vedersi.
Al centro di tutti i possibili percorsi, ricettore primario d’esperienza, si staglia lo sguardo che in prima battuta è uno sguardo dall’alto: l’idea del ritorno al territorio innesca una serie di rimandi e di attraversamenti che graficamente trovano una prima indicazione nella topografia stessa della Provincia di Isernia.
Una rielaborazione in chiave estetica del quotidiano, una riconsiderazione del via vai degli impegni che portano fuori dal contesto personale e introducono al sociale.
Il fine è il rimescolamento e la ri-appropriazione di porzioni di vita per cui i rapporti interpersonali assumono la valenza di strumenti cognitivi. Di conseguenza la dinamicità dei diversi background fa da elemento metamorfico e inclusivo di nuove esperienze.
Al discorso teorico, dunque, postoesposto abbina un’operatività che parte dall’esserci tracciando su carta la propria presenza.

dimensione 1 1 1 1 1 1 1 è un intervento simbolico sul territorio, un ragionamento in potenza.
La cartina sezionata comprende la zona circostante la città di Isernia dove trovano collocazione i componenti del gruppo. Il campo è ristretto ad una parte per il tutto allo scopo di focalizzare i luoghi di vita di ognuno. Un segnale, quindi, che prescinde da qualsiasi sovrastruttura ponendosi come registrazione di un esistente imprecisato.
La sequenza numerica indifferenziata si riferisce ad una scelta di orizzontalità già presente nel gruppo ed applicabile al sistema di relazioni possibili, ai legami apparentemente deboli.
Ogni unità è innanzitutto una identità, è un punto di vista mobile, ma è anche un link che concorre alla costruzione di una fisionomia nuova dello spazio vivibile.
Il tema del territorio, attraverso il concetto di dimensione, è allargato all’elemento umano, a chi lo abita.
In questa prospettiva dimensionale la cartina in oggetto è la matrice di un processo che parte dalla localizzazione reale in una geografia ideale e che ha per fine l’incastro con ulteriori soggetti e realtà sensibili, oltre i confini tracciati.
L’annodarsi delle varie esperienze porta all’ipertestualità e alla condivisione, in questo senso il territorio può diventare una rete, non come mero canale di trasmissione di dati ma come modalità- che si trova fuori dalle logiche dei grandi centri e dai rapporti di forza che li regolano.

microgalleria
Da TRAILER MICROGalleria dell’accademia, 2008

La MICROGalleria dell’Accademia: l’ospitalità nella pratica espositiva

La MICROGalleria dell’Accademia è uno spazio che rappresenta un’unità di senso: uno spazio nuovo, dedicato all’ospitalità, che è, esso stesso, primo ospite del luogo istituzionale che la accoglie.
Sin dal luglio 2004, data della sua creazione, la MG è stata concepita come un progetto in cui l’emergere del nuovo coincide con la sperimentazione di una prassi espositiva lontana dal concetto utilitaristico e commerciale di galleria, e che trova il suo luogo proprio in un’istituzione da secoli finalizzata all’alta didattica artistica. È uno spazio espositivo no profit, un laboratorio di ricerca che accoglie lavori creati appositamente per l’occasione dai nostri artisti-ospiti.
Lo spazio fisico della MG è composto da due ambienti diversi, separati da un sottile muro con due porte, che si presenta come una linea di confine tra l’esterno e l’interno, e a cui si può attribuire il significato di una frontiera. Non si tratta però di una frontiera insuperabile ma permeabile, l’unica a partire dalla quale può costituirsi quella esigenza di un’ospitalità che accolga l’altro senza annullare e ridurre a sé la sua alterità. L’invito che viene fatto ad ogni artista-ospite di proporre un progetto per la MG, induce a soffermarsi sulla questione dell’ospitalità cui l’invito stesso dà vita: l’apertura della dimora all’altro, i rituali di reciprocità e di scambio tra gli ospiti, il gesto di accoglienza del nuovo, il confine tra spazio pubblico e non pubblico.
È proprio rifacendoci a queste tematiche, che abbiamo accolto l’invito delle curatrici della 13ª edizione di Fuoriluogo, dando così continuità a una collaborazione nata in occasione del Premio Mauro Manara 2006-2007 con La forza dei legami deboli, cui partecipava anche l’Associazione Limiti Inchiusi, che ora ci ospita. L’invito che ci è stato rivolto ha dato luogo a un intreccio di relazioni che a nostra volta abbiamo pensato di arricchire, coinvolgendo a partecipare Piotr Hanzelewicz, un artista che collabora con la MG.

Il 18 Novembre del 2008 abbiamo registrato la sua testimonianza in un video nel quale affronta il tema della propria esperienza relativa ai motivi dell’ identità e dell’appartenenza territoriale. Questo video ha una duplice valenza: da un lato è la riflessione di un artista sul proprio disagio sociale, dall’altro consiste in un tassello dell’operazione di ricerca con cui la MG indaga, attraverso la pratica espositiva, sulla relazione tra l’artista e il sistema dell’arte contemporanea.

[Anna Maiorano e Cristina Reggio]

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Piotr Hanzelewicz in MG durante le riprese del 19 Novembre 2008, per la realizzazione del video testimonianza (5’ 27’’, dvd, 2008).

Patria est ubicumque est bene (Cicerone)

Sono nato trenta anni fa a Łodz, in Polonia. Quando ne avevo cinque, la mia famiglia si è trasferita in Italia conservando viva la tradizione e la cultura polacca cristallizzate al 1983. Ho imparato l’italiano all’asilo ed ho imparato a nuotare nelle acque dell’Adriatico. Le montagne che circondano L’Aquila mi hanno sempre permesso di figurarmi un infinito nascosto là dietro.
Łodz è in pianura e la sua campagna ti dà un po’ l’impressione di venire schiacciato a terra dal cielo. Piantato come un chiodo nella terra nuda.
Eppure, stando in Italia, mi sono sempre sentito fortemente polacco. La questione nasceva nel momento in cui andando in Polonia non sapevo cosa fossi. Per cinque anni ho frequentato l’Università di Łodz per capire cosa fosse per me la Polonia, per capire ed imparare il senso del termine patria, di ciò che significano le radici, la famiglia. Dopo gli studi mi sono messo l’anima in pace a non sentirmi né polacco né italiano.

Tornimparte, comune dell’entroterra abruzzese scisso in ventitré frazioni, mi ha ospitato negli ultimi diciannove anni. Luoghi pacifici pieni di aria e di un retaggio culturale di tempi passati.
Trovarsi ad essere stranieri produce automaticamente un legame debole con i luoghi che ti accolgono. È in qualche modo un elemento di disfunzione prodotto proprio dai legami forti che caratterizzano il luogo. Troppo forti: i confini ed i limiti tra una frazione e l’altra, tra una casa e la panchina di fronte, sono stati marcati anche con il sangue nel corso di lunghissimi anni uguali a sé stessi, e sembrano sospendere la bellezza dei paesaggi negli sguardi delle persone. Di necessità, si è portati al superamento di tutte le categorie che tendono a dividere gli esseri umani a seconda della loro appartenenza.
Il 1° maggio del 2005 sono diventato cittadino europeo. Fino al giorno prima, pur essendo la stessa persona, ero extracomunitario.

Mi piace declinare la teoria dei legami deboli immaginando un sistema di vincoli che costringono e bloccano. Mi piace pensare ai legami deboli come alla capacità che l’individuo ha di prodursi con leggerezza rispetto al proprio ambiente. Qui si manifesta, secondo me, uno dei nodi più ostici della nostra società: tra il rallentamento che impone la provincia e la rapidità del centro, è sempre il legame forte a creare una disfunzione, ad inibire l’esercizio della libertà. Di conseguenza, il provincialismo resta un approccio mentale prima ancora che geografico. La vera forza di un legame debole con il proprio territorio e ambiente, con il proprio contesto, sia esso centro, periferia o provincia, è la libertà di non esserne intriso e marcato a vita: il superamento, in poche parole, delle categorie di pensiero che generano tanto i centralismi quanto i provincialismi.

Con questa storia, sviluppata in 30 anni di vita, mi preparo ora ad un nuovo scenario partendo per Berlino. Se da un lato risulta chiaro che in un sistema centripeto anch’io fuggo verso il centro, d’altro canto porto con me un bagaglio culturale formatosi in un posto dove abitano tremila anime che hanno la necessità di dividersi in ventitre frazioni.
La forza di un legame debole non è sinonimo di liquidità: il senso di appartenenza è votato al tutto e non solo ad una parte.

[Piotr Hanzelewicz]