Carlo A. Cegan_Il nuovo rinascimento

Carlo Cegan
C’è in fondo qualcosa di molto istruttivo, ovvero di molto inquietante, in quel che è successo, succederà con l’inchiesta che vede coinvolti professionisti di fama anche internazionale a Firenze. La gloriosa Signoria fiorentina, che pensava ad nuovo rinascimento (dopo quello filosofico di Verdiglion ve lo ricordate no?) si trova invece oggi al centro della cronaca nera nazionale per fatti di eccezionale gravità. La grandezza del Magnifico, dell’Alberti, del Ghiberti, di Sebastiano del Piombo, del Rinascimento toscano e della sua illuminata Signoria prodiga e munifica, illuminata nel sostenere le sorti della cultura e della società del tempo. La città di Poggi, patria e luogo di una stagione felice dell’architettura italiana, che ha visto protagonisti di grande levatura prima che architettonica, culturale e umana, Savioli, Ricci, Michelucci, solo per fare alcuni esempi, un melieuculturale in cui le architetture erano tormentate, sofferti esiti di continuità, rottura e dialogo con le preesistenze, con la cultura del luogo ma soprattutto con l’UOMO.

Battaglia a volte,sempre tensione emotiva, contraddizioni a volte irrisolte, complessità e struggimento legato alla transizione epocale del tempo. Firenze, città natale di Pietro Porcinai e delle sue meravigliose invenzioni arboree e paesaggistiche, percorso d’inizio e a sua volta parabole conclusiva di del disegno di paesaggio che attraversa molti luoghi della stagione del Rinascimento toscano, delle prime colline toscane e delle sue ville. La tradizione si dirà: finchè essa ha un effetto stimolante e di riferimento, essa opera in modo profondo e instancabile, aiuta a collocare le scelte e definire i contorni e i connotati delle nostre scelte, dei nostri orientamenti. Si ravviva e si rivitalizza nel dialogo con l’esterno, con le culture altre, con gli altri contesti. Si da profondità, strade nuove possibili che vanno indagate in modo instancabile con pazienza e perseveranza, soprattutto costruendo e confutando le possibilità, prima che essere attraversare nella sola enunciazione. L’architettura ha inevitabile bisogno di questo contesto, direi antropologico e culturale per crescere e arricchirsi, per essere in grado di capire prima che di rispondere, di dire, di pro-durre.

Ha bisogno di una orizzonte in cui uomini, imprenditori, istituzioni, siano capaci di ritornare, riannodare, ristabilire un ponte logico, un nesso indissolubile con il contesto. Contesto in senso ampio: culturale, sociale, economico. Poi questo sforzo di pensiero produrrà sintesi se si farà capace di essere solido e presente.Sembra passato un millennio dalla stagione della Casabella di Vittorio Gregotti e un millennio da quella dei suoi predecessori, laddove sempre lucido era lo sforzo di definire sempre contorni e scopi dell’architettura e del suo ruolo Sociale. Queste ragioni e queste interrogazioni sembrano oggi miseramente smarrite in superficiali dialoghi fondati sul nulla, smarriti nel nulla, nelle redazioni che non ci sono, negli storici che fanno solo marketing. C’è da domandarsi dove siano finiti gli spazi perché emergano le ragioni dell’urbanistica, della storia, quelle di Bernardo Secchi, di Manfredo tafuri, di una scuola capace di dare fondamento e di definire sempre i contorni del suo operare. Vorrei affermare, implicitamente, che fondare nell’interrogazione significa anche trovare le etiche, prima che le estetiche di un comportamento necessario.

Questo smarrimento dell’architettura italiana di cui le cronache fiorentine sono la misera testimonianza, evidenziano ancora una volta che senza il rifondarsi e l’interrogarsi della disciplina rispetto al suo fine, tutto sarà smarrito nella superficie e nell’appiattimento culturale del mezzo.Tutto si è appiattito, eccetto che per le menti attive , quelle ancora capaci di opporsi ad un contesto trasversale e culturale che ha fondato il suo operare su un terreno apparentemente solido e invece costituito di fatto su complicità, convenienze, connivenze, interessi e semplici opportunità. Corroborati e sostenuti dalle riviste patinate (anzi fautori e abili costruttori delle stesse perché veicolo di cooptazione culturale) smarrite nella indecente quotidianità, smarrite in un improbabile e indistinto presente, senza destino e senza alcun sforzo di ripensamento e interrogazione sui fini, se non su una drogata e ansiosa ricerca di pervasività dei mezzi. E quindi tutto è diventato mezzo, strumento e obiettivo.
Mezzo mediatico, mezzo di rappresentazione. Lo hanno capito imprenditori e taluni amministratori della res pubblica con fin troppa facilità, primo fra tutti il Ligresti nazionale e chi per esso, che hanno ben capito che la potenzialità dell’immagine poteva coprire ogni miseria e ogni vuoto culturale. Tutto è smarrito nella quotidianità e tutto diviene pensiero incerto, labile e rizomatico.

La stessa università è divenuta lo specchio impietoso di questa incapacità di individuare bisogni e intendimenti, incapace di riportare in forma problematica il presente e reinserirlo in una dimensione opportuna e storicamente fondata. Oppure essere in grado di reinterrogarsi sulle direzioni e sul mercato prima che sugli esiti , ritornare alla ricerca, quella vera. Eppure le cronache ( giudiziarie….ahimè!!!!) oggi dicono altro e mettono drammaticamente a nudo il ruolo ( e non solo di labile confezionatore di immagini, ma anche abile e spietato sostenitore di affari) di chi si è trovato dentro vicende come quelle fiorentine. Esso stesso mezzo e fine di un disegno più ampio perché la smarrita e incerta cultura del progetto permette alla superficiale ricerca di qualità e bellezza dell’operatore immobiliare, di trovare il terreno idoneo e fruttifero. Questo è il punto! Lo schiacciamento si è prodotto.

Se si guarda al mondo della moda appare allora paradossale che, forse solo i grandi stilisti, siano capaci oggi di produrre il superfluo di cui ha bisogno la vera architettura.
C’è una meravigliosa frase di T.S.Elliott tratta da il Bosco Sacro […] Quando si cerca il diverso dove non c’è si scopre inevitabilmente la perversione […] La bellezza, quella vera, che è rappresentazione e manifestazione di cultura del progetto, sua profondità di ricerca e misura dei mezzi per renderla operativa e reale, sforzo da un impegno sociale (non già politico), deve necessariamente nascere da un atteggiamento etico e consapevole. Diventa puramente estetico quando i valori della cultura, della tradizione e dell’impegno vengono meno; rimane forma sterile e svuotata di ogni suo impegno teleologico. Più onesta la voluttà e la ricerca del lusso, del superfluo, non già automaticamente della Bellezza che è sintesi interiore e non mercificabile, che si manifesta nel circuito della moda e dintorni, dove quella richiesta di superfluo ne è strutturalmente pervasa.

Briciole di riflessione sociologica:oggi Dolce & Gabbana, Bulgari, Armani siano in qualche modo
i Lorenzo il Magnifico della contemporaneità e, insieme a pochi altri, sanno interpretare questa possibile forma di coincidenza e ricerca. Non è un giudizio di valore né morale ma è lo stato delle cose, definizione di un contesto che richiede lo spreco. Quando questa necessità esce dal mondo dorato della moda e se ne impadronisce lo speculatore finanziario e immobiliare allora sono guai
(anche giudiziari). Le architetture di questo sistema formano un’inquietante contesto di Città alla Potomkin (A.Loos, Parole nel vuoto) lee città di cartone dei set cinematografici diventano indistinguibili per luogo, per contesto, segni di apparente e vuota efficienza. Ma la ragione è nella inconsistenza culturale. Ornamento e Delitto. E’ un’ornamento diverso quello che oggi ci troviamo a combattere. Quello delle facciate continue dappertutto, degli edifici sghembi senza alcuna fondatezza ne responsabilità, della loro inconsistenza semantica, della debolezza delle rappresentazioni notturne, degli edifici che improvvisamente attraversati dall’idea di sostenibilità diventano improvvisamente verdi, con terrazze fiorite, muri verdi, tetti giardino al cinquantaseiesimo piano, parchi che coprono le speculazioni immobiliari, render che fanno bella ogni cosa e ne tolgono la consistenza del pensiero fondante e orientato. Nessun valore.
Questa superficiale adesione senza sostanza al grande tema della sostenibilità provocherà disastri incalcolabili.

Vedere i progetti per la grande Milano, dove le palazzine hanno gentili balconi da cui cadono immensi rampicanti e vasi verdi. Chi li pianta? Chi li gestisce? che certezze vi sono che l’esito sia quello e che non sia solo un disperante e furtivo trucco di depistare la sostanza del progetto? Il vecchio professor Gregotti disse una volta ad un caro amico, oggi rettore di una prestigiosissima università: adesso che sei ricercatore, devi cominciare a scrivere qualcosa di importante. Lasciatemi dire: scrivere significa tentare di definire di connotare le proprie intenzioni architettoniche e fissare in modo problematico i tratti e i contorni di una disciplina che quando finisce di interrogarsi perde la sua capacità performativa, profonda e vera. E’ la poetica di Aristotele dello Zoon politikon:
fare e pensare a come fare. Se togliete le riviste italiane e le pubblicazioni patinate, che cosa rimane del contesto culturale italiano ? N-U-L-L-A. Se non la solitaria e pervicace ostinazione del Vittorio nazionale che pubblica testi e contenuti che si collocano nel deserto editoriale e culturale di oggi come l’acqua necessaria delle oasi del deserto. Scomparsi gli storici dell’architettura, esplodono i critici e le vestali del progetto che spaziano e scrivono e pubblicano per un necessario bisogno di apparire mediatico prima che per il necessario bisogno reale e sociale in cui l’architettura, se vuole sopravvivere deve ritornare a confrontarsi. Se penso a De Carlo nelle esperienze di Urbino mi scorre un brivido lungo la schiena. Non sono tutti belli i suoi edifici, ma onesti, solidi, veri, sapientemente orchestrati.
C’è una scuola d’arte sul colle opposto al centro storico che è adagiata sul crinale, e che racconta di un’idea di spazio che parte da un’idea politica di come vivere lo spazio dello studente.
Grandi terrazze coperte da una semplice ed elementare lamiera grecata.
Spazio-laboratorio semplice ma adatto allo scopo.

Le modificazioni economiche e mediatiche che si sono prodotte non sono certo eliminabili con un rappel a l’ordre , o definendo steccati disciplinari. Si tratta invece di attraversare in modo implacabile questa contemporaneità di difficile interpretazione, combattere , dialogare, ricercare, affinare, convincere. Ma optare per una fattiva critica del presente e non una semplice adesione ad esso. E’ la nostra essenza di europei, e l’essenza della nostra storia di italiani, i più occidentali degli occidentali. Nella sua più profonda capacità di interrogazione sui fini e sui destini, e di conseguenza della nostra posizione nella società, troveremo risposte alla nostra operatività e ci collocheremo in modo capace e consapevole per essere attori consapevoli e interessanti (e non solo colpevoli e interessati) Amate l’architettura scriveva Giò Ponti sessant’anni fa. E qui davanti a me la sua lezione, come quella di Quaroni e di Samonà. Uomini.Tutto invece è diventato agenzia, marketing operativo, immagine, rizoma. Tutto non è così innocente, indifferente e senza ripercussioni. Tutto sta a significare un destino in cui, su questa indifferenza si sovrappone il terreno delle complicità, degli affari , delle holding capeggiate da indistinti consigli di amministrazioni, holding di finanza, Hedge found, istituzioni interessate a fare accordi di programma in quanto terreno di scambio economico…

Questo è il punto. L’architettura del masterplan, dell’accordo di programma, dello scambio è e deve
essere necessariamente efficiente, luccicante, ma anche molto solida, di pietra, scultorea, inventiva,
piena di persone che camminano sorridenti che fanno parte di un mondo che non esiste, volatile e
inconsistente come le operazioni speculative di Borsa. Il territorio è il luogo , tavola o banchetto possibile in cui la politica e l’imprenditoria trovano una stagione nuova e florida, piena di possibilità in un ipotetico e intrigante scambio di interessi e favori: laddove abbisogna appunto che l’architettura
(e se lo dice anche uno come Ligresti) deve essere bella. L’architettura come bene di servizio diventa, mezzo, e infine merce.Merce vendibile, impeccabile, convincente, a la page. L’operazione è trovare accoliti, immergersi nei convegni, in cui poche parole, molti contatti,presentazione di immagini, forniscono un comodo cappello culturale perché se un masterplan (che oggi è operazione di marketing) deve funzionare meglio se compare prima sulla rivista, la quale è uno straordinario strumento di copertura culturale. Leeher in gesprochen - parole nel Vuoto.
Questi Sentieri Interrotti si ritroveranno solo se l’architettura saprà farà come il giovane rampante broker londinese, Russel crowe (nel film di Ridley Scott “Un’ottima annata”): ritornerà alla terra d’origine per capire che vi è una radice e una ragione per operare in modo consapevole e consistente, senza il quale tutto è labile, debole, inconsistente e mondano. Per essere in pieno dialogo con il presente e con l’intima essenza delle cose che hanno oggi perso peso, senso e valore.
Le radici autentiche e vere dell’architettura perché essa possa ritornare ad essere, con il nostro
instancabile lavoro e sostegno, luogo della densità, consistenza, impegno etico e civile, interrogazione
continua, perché segno distintivo di una grande tradizione italiana che tutto il mondo ha guardato con
ammirazione. E di cui oggi non vi è più traccia.

[Carlo Alberto Cegan]

Nella fotografia un progetto di villa unifamigliare di Carlo Alberto Cegan