Giovanni Bartolozzi_Un progetto in divenire

Cliostraat

Il 14 Marzo 2003 si è aperta a Firenze, presso il SESV (Spazio Espositivo Santa Verdiana), la mostra “Nodi idee per una casa italiana a Bangkok”, legata alla consolidata esperienza del gruppo torinese Cliostraat.
L’abitudine alle tradizionali mostre d’architettura scandite da scenografiche tavole di progetto, plastici, fotografie…, potrebbe deludere lo spettatore, poiché entrando non troverà nulla di tecnico o grafico. Nessuna tavola, nessun progetto. Solo oggetti domestici d’uso quotidiano che rappresentano, in fondo, le prime idee per il progetto di una casa italiana a Bangkok.
L’esposizione è suddivisa in due parti. Nella prima, al pian terreno, su un lungo e stretto tavolo sono esposti utensili e oggetti domestici di uso giornaliero: accessori per la cucina, caffetteria, bevande, giornali, posate, bicchieri, asciugamani, piatti… Nella seconda, al piano superiore, su un lungo letto, gli oggetti esposti riguardano la zona notte: fumetti, grucce, accappatoio, telefono, scarpe da tennis …

Ma la particolarità dell’esposizione, la sua forza non sta tanto negli oggetti esposti, quanto nei dispositivi elettronici che, mediante schermi tv, consentono di associare ad ogni oggetto un video o una musica, che racconta la storia, il messaggio, il ricordo di quello specifico oggetto.
Ancora una volta si conferma la matrice del gruppo Cliostraat: l’uomo, la persona, l’individuo e la capacità soggettiva di provare emozioni, sensazioni, legami trasversali, affinità. Risultato: una fusione sottile tra tecnologia ed emozioni umane. La tecnologia diviene un potenziale strumento, un collegamento, un tramite tra l’uomo e il vissuto esistenziale e tale funzione dovrebbe avere all’interno di una semplice casa. “Il progetto che è qui in mostra è un progetto in divenire” scrivono i Cliostraat, “crediamo fortemente nell’apertura verso l’esterno e verso collaborazioni diversificate, il lavoro svolto fin qui lo vedete in mostra. Tenetevi sintonizzati su queste frequenze che da qui ai prossimi mesi vi daremo gli aggiornamenti…”

L’iniziativa appare curiosa per diversi motivi, ma due prevalgono con prepotenza:
Primo, il gruppo Cliostraat non espone i progetti fin ora realizzati, bensì preferisce una soluzione forse più artistica, astratta, concettuale, ma sicuramente più discreta, silenziosa e quanto mai riflessiva, soprattutto a confronto con l’arroganza di qualche gigante studio professionale. Quest’aspetto tuttavia, per quanto profondo e irruente, rende la mostra e dunque la sua comprensione più sottile.
Secondo, come accennato, i progetti sono assenti ma non lo sono umanamente. In pratica la mostra racconta la crescita individuale d’ogni singolo membro del gruppo. Un arricchimento umano che avviene con costanza grazie al dipanarsi d’esperienze progettuali, impastate di rapporti con la gente, coi committenti, con le ditte, con i giornalisti. In altri termini si propone al pubblico di valutare quanto di realmente comunicativo ci sia dietro ad un progetto, mettendo momentaneamente da parte le sofisticate e spesso astruse questioni relative al linguaggio, alla teoria, all’informatica, alle mode dilaganti, che oggi sembrano i soli termometri della buona architettura.

“E la qualità del progetto?” Si chiedono i Cliostraat. “Quella ormai bisogna darla per scontata. Qui arrivati, se non c’è ancora, non ci sarà mai. E poi è un tema già molto discusso. Magari, questa volta, parliamo d’altro”. Da questo secondo aspetto deriva il titolo della mostra. “Nodi” simboleggia la trama spesso confusa e imprevedibile, di gesti, relazioni, parole, contatti, amicizie, che per infinite ragioni s’innescano tra persone collaboranti, pur con apporti svariati, alla stesura e realizzazione di un progetto. Tale aspetto, che probabilmente per molti sarà scontato o per altri magari di poco rilievo ai fini progettuali, costituisce e innesta nell’attuale panorama architettonico italiano un canale di ricerca che, partendo dal basso, da una dimensione strettamente umana, coinvolge lo spazio fino a scala urbana. Ma non solo. Tale processo è verificato anche in senso inverso, vale a dire dalla scala urbana, per esempio quella della periferia torinese, che i Cliostraat hanno vissuto intensamente, al riscontro umano, quello dei cittadini e delle loro necessità.

La mostra è inoltre affiancata da un piccolo catalogo nel qual è possibile trovare conferma a quanto detto. In esso l’iter progettuale del gruppo torinese, punteggiato da immagini e “nodi”, acquista una patina romanzesco-confidenziale poiché gli autori, come in un diario di bordo, danno sfogo alla tensione umana accumulata in ogni progetto: “Abbiamo scelto dieci progetti nostri, cercando di partire dai nodi, dalla loro capacità (vera o presunta) di stabilire contatti con le persone nuove, provenienti da discipline e/o geografie lontane.” […] “Cliostraat viene selezionato all’interno del programma della Biennale dei Giovani Artisti del Mediterraneo. Viene proposto un campeggio metropolitano: 5 giorni e 4 notti di viaggio lungo circa 70 km di circonferenza periferica torinese. Questa “escursione” (fatta con le tende, gli zaini, gli scarponi comodi) è pensata per essere condivisa con gli amici e sodali provenienti da tutta Italia. […]

La Biennale è una nuova occasione per conoscere altre persone che portano avanti ricerche e sperimentazioni analoghe, […], anche si comprende appieno l’importanza del rapporto coi giornalisti”.
Ma ancora, in occasione della mostra italiana a Bangkok scrivono: “La possibilità di entrare in contatto con la nostra ambasciata in Thailandia, scoprire l’intelligenza e l’energia di Angelo Cucchi, di Tommaso Serrano e delle altre persone che lavorano alla Camera di Commercio. Senza contare la possibilità di relazionarsi direttamente con dieci aziende italiane”.
Tale atteggiamento trova riscontro nell’attività svolta in questi anni dal gruppo, con la finalità di veicolare l’architettura e l’arte dentro la vita quotidiana. Ciò avviene spesso, e “Nodi” ne costituisce un esempio, superando la soglia stessa dell’architettura, la soglia spaziale e sconfinando nell’ambito concettuale costituito dagli eventi, da particolari situazioni, da esigenze degli utenti, da stati mentali.

Introducendo il catalogo, infatti, scrivono: “Abbiamo un’ipotesi. Nel mondo attuale quello che conta sono i contatti, la loro qualità e le reti che formano. Il mondo dell’architettura e del progetto non sarà un’eccezione alla nostra ipotesi. Se questa dovesse essere vera, ne risulterebbero un sacco di conseguenze curiose”. Si coglie dunque la pulsione concettuale: un’ipotesi soggettiva, in fondo una condivisibile visione del mondo. Questo impone un ribaltamento dei parametri valutativi, poiché analizzare un progetto o un’esposizione di Cliostraat secondo i parametri figurativi “canonici”, tralasciando il sorprendente impegno sociale, comporterebbe un giudizio equivoco, precludendo la comprensione semplice e al tempo stesso complessa del risultato.

Un giudizio sul valore estetico della mostra Nodi sembra allora impossibile. Essa si limita ad esprimere un’intenzione, una volontà, una visione. E del resto dare un giudizio estetico significherebbe smorzarne il contenuto, poiché il suo valore non sta nel risultato finale, peraltro inesistente, in divenire, ma nel processo e nella volontà di vivere umanamente fino in fondo le potenzialità comunicative offerte da un’esperienza progettuale o più in generale da una qualunque esperienza di vita. In conclusione è curioso lanciare un collegamento, un contatto. Creare un “nodo”, proprio con la Toscana, con Firenze, dove Brizzi ha organizzato questa mostra, vivacizzando la soporifera atmosfera universitaria fiorentina.
Tale collegamento riguarda Giovanni Michelucci, il suo impegno sociale e umano. Egli, infatti, scriveva: “Io non faccio l’architetto per fare dell’architettura ma perché questo è un modo di essere presente nella vita e nel mondo degli uomini del mio tempo; l’architettura non è e non deve essere il fine, ma un mezzo di presenza, di colloquio con i propri simili. L’architettura per me è un gesto, ha il valore di un gesto…”
“Nodi” incarna questo gesto.

[Giovanni Bartolozzi]

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